La focaccia

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Dopo quasi due settimane di attente ed amorevoli cure il mio nuovo lievito madre sembra essere pronto per l’uso. In questo caso non credo di avere mai ottenuto un lievito più vispo di quello che ho in questo momento.

Nel corso della giornata arriva a triplicare di volume ed il profumo ha perso quel carattere di acidità che aveva nei primi giorni di coltura.

C’è un che di particolarmente bello nel prendersi cura di lui ogni mattina. Sì perché io lo rinfresco ogni giorno ed ogni giorno lo nutro secondo necessità. E’ un discreto impegno da aggiungere alla lista di quelli che già ci sono ma questo è classificato tra gli impegni piacevoli.

Uno dei lati negativi del rinfresco quotidiano sta nel fatto che l’esubero di lievito madre non viene utilizzato. Non ho certo la necessità di panificare ogni giorno e quando lo facevo una pagnotta da mezzo chilo durava dai tre ai quattro giorni. L’uso del lievito madre rende più lunga la conservazione del pane.

Questa mattina mentre facevo il mio rinfresco quotidiano che era arrivato il momento di metterlo alla prova. Ne ho salvato un centinaio di grammi con l’idea di fare una focaccia.

In questo momento non il tempo e la concentrazione necessaria per dedicarmi a preparazioni più impegnative. Tanto per dirne una, la ricetta del Tartine’s Country Bread richiede più o meno due giorni di lavorazione per ottenere un risultato decente.

Ho quindi preparato l’impasto per una focaccia ed ora se ne sta tranquillo a lievitare per conto suo sino al momento successivo della preparazione.

Queste breve preparazioni hanno un benefico effetto sulla attività lavorativa che continuo a svolgere in gran parte da casa. Scelta volontaria dato che la Svizzera ha dismesso tutte le restrizione introdotte con la pandemia.

Avere il timer che suona e che ti costringe a scendere in cucina a dare un paio di pieghe all’impasto ti fa staccare dal monitor e ti costringe a fare un paio di rampe di scale. Sempre con Buzz al seguito, ovviamente.

Adesso aspetto che l’impasto raddoppi e poi preparo il forno per la cottura.

Tutto si incastra benissimo con la mia agenda e con l’infinita sequela di conference call cui devo partecipare nella giornata di oggi.

Sono curioso di vedere il risultato finale dei miei sforzi.

Il taglio della forma di pane, o della focaccia nel caso specifico, è sempre uno dei momenti che mi piace di più. Sono sempre ansioso di verifica quanto è soffice, come è fatta l’alveolatura, che profumo manda e che livello di acidità ha. La panificazione è sempre grandemente influenzata dal contesto. La temperatura dell’ambiente cambia durante l’anno, così come cambia l’umidità relativa. Non possiedo una camera di levitazione con temperatura ed umidità controllata.

Le camere di lievitazioni sono diventate accessibili anche agli improvvisati panettieri come me. Credo comunque che tolgano un pochino di poesia alla panificazione. Usandole il risultato è certo e ci devi mettere poco di tuo.

Al contrario facendo tutto a mano devi imparare a conoscere l’impasto e prevedere come potrebbe reagire alla temperatura che hai in casa al momento della preparazione. Lo devi toccare, capire come sta crescendo e come si sta comportamento mentre i processi di fermentazione procedono.

Insomma è tutta un’altra cosa.

Avere la possibilità di staccare dal digitale per dedicarsi a qualcosa di fisico e tangibile è come una ventata di aria fresca.

Nel frattempo ho selezionato quattro o cinque ricette diverse che nel tempo vorrei provare e capire se avranno la dignità di finire nel “Quaderno del pano” di cui parlavo qualche giorno fa.

Anche scrivere su quel quaderno con la mia penna stilografica preferita è una cosa che mi allontana dal digitale e che mi permette di staccare dal quotidiano. Dopo avere scritto una ricetta me lo sfoglio. Rileggo le note che ho messo a margine delle ricette. Sottolineo qualche passaggio che non è sufficientemente dettagliato ripromettendomi di migliorarlo in futuro.

Sono convinto che tutti avremmo bisogno di qualcosa di fisico da fare e da toccare ogni giorno. Il digitale rischia di diventare estremamente invasivo e totalizzante.

Per questo mi piace fare mettere le mani nella farina ai miei figli quando sono insieme. La cucina si riduce come uno spogliatoio al termine di una partita di calcio ma il divertimento è sempre assicurato.

Linux

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Questa notte stavo leggendo l’articolo di un amministratore di sistema che si lamentava dello stato della distribuzione Linux Debian. (The delusion of debian)

E’ una distribuzione che non ho mai seguito molto in passato. Ho quasi sempre usato CentOS o, in alcune occasione, Arch.

Debian è stata sempre ritenuta una distribuzione molto sicura o, se non altro, con una maggiore cura nei riguardi della sicurezza dei pacchetti che venivano resi disponibili ai suoi utenti. Per questa ragione molte strutture ne hanno fatto uso per offrire i loro servizi.

Sono stato spesso tentato di provare a costruirmi la mia personale distribuzione giusto per vedere che tipo di sforzo richiede una cosa di questo genere. Ho sempre desistito. Troppo impegnativo.

Ci sono tre aspetti fondamentali che valgono non solo per Debian ma per qualsiasi distribuzione esistente:

  • Rimanere al passo con i frequentissimi rilasci dei diversi pacchetti.
  • Assicurare che ciò che viene inserito nella distribuzione sia sicuro.
  • Assicurarsi che ogni falla di sicurezza scoperta sia aggiunta in maniera tempestiva alla distribuzione.

Nell’articolo sopra citato si fa riferimento alla numerosità dei pacchetti presenti nella distribuzione Debian: più di 96000 pacchetti nella distribuzione stabile e più di 1419000 nella distribuzione non stabile.

E’ un numero enorme.

Credo che anche per una azienda che abbia a disposizione una platea di mantainer molto più numero di quella di Debian sia un compito impossible. Pare che Debian possa contare sul lavoro di 32 persone. Fate voi la divisione e capirete subito quanto è difficile.

A questo punto è abbastanza evidenti che qualsiasi amministratore di sistema non può fare totalmente conto su chi gli fornisce la distribuzione per avere contezza di avere sotto il sedere un sistema sicuro. Sicuro per quanto riguarda il server in sé e per sé. I problemi di sicurezza delle sue applicazione sono un altro genere di problema.

L’unica alternativa è quella di gestire in autonomia il flusso di problemi di sicurezza che vengono identificati nel tempo e provvedere in maniera autonoma alle varie patch che vengono rilasciate. Naturalmente questo è un lavoro che si aggiunge al normale lavoro di mantenere la continuità del servizio per quanto riguarda le proprie applicazione.

E’ un lavoro immane. Fare l’amministratore di sistema è un’arte. Oggi mi sembra proprio che tu debba essere un mago per non fare casino e per non rischiare che qualcuno si presenti alla tua porta chiedendoti dei quattrini per ritornare in possesso dei tuoi dati.

Se penso alla enorme quantità di server che tengono in piedi tutti i sistemi con i quali siamo abituati ad interagire e per non parlare di tutti i sistemi che le aziende operano per lavorare un brivido mi corre lungo la schiena.

Al di là della sciatteria nei confronti della sicurezza di molte aziende e molte istituzione c’è questo problema che non è banale risolvere.

Se è vero che ho fatto l’amministratore di sistema in passato devo confessare che oggi non avrei proprio il coraggio di rimettermi a fare quel lavoro. E questo nonostante mi sia divertito un casino a quei tempi.

Quando lo facevo io avevo a che fare con un porting proprietario di un sistema UNIX System V. C’era un botto di persone a lavorarci sopra e certamente il numero di pacchetti a disposizione era di un paio di ordini di grandezza inferiore. Addirittura, e parliamo del 1991, se volevi usare TCP/IP dovevi ordinare a parte la scheda ethernet (che costava un rene) e ordinare, sempre a parte, lo stack TCP/IP (che dovevi pagare con l’altro rene).

Credo che anche gli architetti software non abbiano vita facile. Riuscire a mettere insieme delle soluzioni robuste non deve essere cosa facile al giorno d’oggi. E questo sempre per le ragioni di cui sopra.

E’ un tema estremamente complesso e delicato. Confesso che occuparmi di tutt’altro mi permette di tirare un sospiro di sollievo perché non devo contribuire a trovare una soluzione.

Purtroppo è un tema di vitale importanza per la sicurezza di tutti ed ho il grande sospetto che venga grandemente sottovalutato.

Linux è così grandemente diffuso e pervasivo che possiamo dire con quasi assoluta certezza che dietro ogni prodotto o servizio oggi disponibile c’è almeno una macchina che fa girare una qualche distribuzione più o meno sicura.

Se poi sei una startup che pone grande attenzione al portafoglio e che al momento della sua nascita non può portarsi a casa il miglior amministratore di sistema del mondo per via dei costi, si può immaginare quale strada si può imboccare.

Non si tratta certo di una critica. Nelle stesse condizioni farei esattamente la stessa cosa.

Quello che intendo dire è che ho il sospetto che tutto il ferro che va viaggiare i nostri bit & bytes ha grande probabilità di essere un pochino arrugginito e poco sicuro.

Ed anche oggi… vado in moto domani

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Sono sceso in garage con la sacra intenzione di dare una bella pulita alla mia motocicletta. Armato di secchio, spugne, stracci, pelle di daino e di tutto quello che è necessario per restituire alle cromature la bellezza che si meritano.

Mi sono messo al lavoro e dopo una oretta scarsa di lavoro la motocicletta era, finalmente, tornata al suo antico splendore. Sì perché la ragazza ha i suoi anni e ha bisogno di cure attente ed amorevoli.

Mi sono fermato a guardare le gomme bianche con il battistrada nero, le cromature del motore e degli accessori, la sua linea imponente ed ho sorriso. Dai, ci siamo quasi. Dopo un anno di fermo per via della presenza del cucciolo non ci sono storie. Quest’anno torno in strada e mi diverto senza pensare a nulla che non sia la strada, il vento ed il rumore del motore.

Ci siamo quasi. Prendiamo il caricabatterie e cerchiamo di dare una botta di vita alla batteria che sicuramente durante l’inverno ha sofferto un pochino nonostante le ripetute infusioni di energia.

Dopo quattro ore scendo nuovamente e scollego il caricabatterie. Tutto sembra essere pronto.

Mi accorgo che mi sono dimenticato le chiavi. Risali in casa. Prendi le chiavi e riscendi.

Giro il comando per dare energia alla moto. Tutto sembra in perfetto ordine. Non ci sono spie accese a segnalare qualche problema. Metto il cambio in folle, aspetto che la luce della pompa dell’olio si spenga e premo il bottone di avvio mentre stringo la frizione.

Mezzo secondo e la motocicletta si accende. Immaginavo di fare un pochino di fatica dopo il fermo ma lei mi ha stupito, come sempre.

Il rumore dei suoi 1584 cc riempie il garage e le mie orecchie. Io lo ho sempre considerato un suono affascinante ed insieme alle sue linee fanno di questa motocicletta il mio sogno. Ho sempre desiderato proprio questa moto ed ora è pronta per mettersi in movimento.

E’ appena passato l’equinozio di primavera e le temperature stanno salendo velocemente. Sabato pomeriggio ho letto sul cruscotto della macchina una temperatura di 20 gradi centigradi. Il mio fisico di quasi cinquantacinquenne è ora in grado di sopportare quella temperatura.

Una veloce verifica dei documenti per controllare che l’assicurazione sia a posto conclude la procedura.

Il casco, la giacca, gli stivali, i guanti, il paraschiena sono anche loro in posizione di combattimento.

Tutto è pronto! Domani si può andare a fare un giro. Potrei sacrificare la pausa pranzo per fare un giretto. Sì, è una buona idea. Un giretto in moto vale bene un piatto di pasta. Non è certo “Parigi val bene una messa” ma ognuno ha i suoi obiettivi personali e non si discute.

E poi, in serata, arrivano le nuvole. La temperatura si abbassa notevolmente. Al mio risveglio questa mattina, piove.

Ed anche oggi vado in moto domani.

Fare il pane

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Io faccio o meglio, facevo, il pane in tempi non sospetti. In altre parole non mi sono dedicato ad imparare la nobile arte durante il lockdown. E’ un interesse che coltivo da tempo anche se in maniera molto intermittente.

Diciamo la verità, occuparsi del lievito madre è una rottura di scatole se lo vuoi fare bene. Rinfresco ogni giorno. Osservazione e cura.

L’altro giorno avevo tra le mani un pacco di farina che stavo utilizzando per fare una frittura e mi sono detto: ma perché non ricominciare. Tutto sommato in questo periodo sei ancora a casa e per qualche tempo continuerà così.

Ho quindi messo i miei cento grammi di farina insieme ai cento grammi di acqua tiepida e ho aggiunto un cucchiaino di miele giusto per fare contenti i batteri che sono golosi di zuccheri.

In un paio di giorni ho ottenuto il miglior lievito madre che sia mai riuscito a produrre in casa. Cresce talmente tanto e talmente velocemente che spesso sono costretto a metterlo in frigorifero per rallentare la sua esuberanza.

Il profumo è sempre buono e probabilmente tra qualche giorno potrò fare la prima prova di panificazione.

Come consuetudine la prima prova sarà con la ricetta del Tartine’s Country Bread in onore del libro che ho ricevuto in regalo dal mio amico Filippo. Lui si è intrippato dopo di me sul tema della panificazione ma è ben presto diventato un esperto che la sa lunghissima.

Mi piace cucinare il pane. Ha un che di antico nel profumo che si diffonde nella cucina mentre sta nel forno. Mi piace osservarlo mentre lievita e mi piace il contatto con le mani quando maneggi gli impasti.

Anche in questo caso ho sempre evitato ho sempre evitato con grande attenzione tutti i vari forum, gruppi e affini che popolano internet. Il mondo della panificazione è fatto di veri e proprio talebani perennemente ingaggiati in guerre di religione senza quartiere.

Faccio i miei esperimenti con le farine e continuo ad alimentare quello che io ho intitolato “Il quaderno del pane” dove raccolgo le mie ricette preferite. Ricette che sono aggiornate quando scopro qualcosa di nuovo, o qualche trucco che migliora il risultato finale.

Sono molto affezionato a quel quaderno. Credo siano almeno dieci anni che mi segue fedelmente. Ha la copertina molto vissuta, ed in alcune parti si sta sfaldando. Le pagine sono sporche perché tipicamente lo uso mentre sto cucinando qualcosa. Mi piace questa idea che sia un oggetto di uso quasi quotidiano. Vive con me e cambia con me secondo i miei gusti del momento.

Ci sono ricette, proporzioni di farina. Pani, focacce e tanta altra roba che mi porto dietro negli anni.

Insomma ci sono parecchio affezionato e sebbene potrei certamente digitalizzarlo per renderlo eterno, o quasi, non ci riesco. Mi piace l’idea che abbia la sua fisicità che risente del contesto.

Lui invecchia, come me.

Ancora su Obsidian

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Nelle ultime settimane Obsidian è entrato a fare parte del mio flusso di lavoro, professionale e personale, in maniera molto decisa ed efficace.

Finalmente ho trovato una applicazione, assolutamente priva di qualsiasi costo, che mi permette di fare tutto quello che ho sempre desiderato ed in un unico luogo.

Ovviamente questo flusso di lavoro si adatta in maniera perfetta al modo in cui penso e lavoro io. Ognuno ha la sua impostazione ed i suoi strumenti. Questo sono considerazioni personali.

Il primo punto di forza è che Obsidian non usa nessun formato proprietario per organizzare le informazioni. Tutte le le note sono in formato markdown. Questo significa che se un giorno Obsidian scomparisse dal mercato potrei in tempo zero passare a qualsiasi altro editor markdown senza perdere un singolo bit delle informazioni che ho registrato.

Parlai di Obsidian in passato e quindi vi rimando di là nel caso in cui vogliate capire per quale motivo ho scelto Obsidian.

In questo caso voglio parlare di qualche plugin che mi permette di integrare un sacco di cose nel mio flusso di lavoro.

Vediamo.

Per me ci sono alcuni plugin chiave che mi permettono di automatizzare un sacco di lavoro.

Uno dei più semplici è Status Bar Pomodoro Timer. La tecnica del pomodoro è una cosa che uso sempre quando lavoro. Averlo a disposizione in Obsidian è uno shortcut che mi aiuta molto.

A ruota segue il plugin Dataview. E’ un plugin potentissimo che permette di trasformare l’ecosistema di tutte le note in un database verso il quale è possibile eseguire delle query. Lo uso in una infinità di modi che è difficile raccontare in dettaglio qui. Recupero porzioni di note da riunioni del passato, recupero dei numeri che ho archiviato o seleziono tutte le note con determinati tag e specifici contenuti.

Kanban è un altro plugin che mi ha permesso di archiviare una volta per sempre la mia pagina personale su Trello. Ora la mia Kanban Board vive in Obsidian.

Il più potente in assoluto, unitamente ad alcune feature di Obsidian, è Templater. Templater introduce un template engine in Obsidian che, tra le altre cose, permette di eseguire codice Javascript durante l’elaborazione del template. L’uso principale che ne faccio è all’inizio della giornata. Esiste un meccanismo tale per cui nel momento in cui si apre per la prima volta Obsidian, esso crea automagicamente una nota per il giorno. Ho quindi creato un template per la mia nota giornaliera che colleziona tutti i miei ToDo per il giorno, e quelli senza scadenza. Allo stesso tempo viene eseguito uno script che preleva i miei appuntamenti per la giornata e automaticamente crea una nota per gli appunti di quel meeting. In questo modo ogni mattina ho il sistema già pronto senza che io debba premere un singolo tasto.

Insieme a Templater uso pesantemente Text Expander che fa quello che il suo nome dice con l’aggiunta del fatto che anche da Text Expander si possono lanciare degli script shell con degli argomenti diventa uno strumento estremamente potente. Tra l’altro con l’introduzione di Shortcuts in Monterey e con il buon vecchio AppleScript puoi automatizzare un sacco di cose. Posso per esempio esportare la traccia di una presentazione in una presentazione Keynote solo premendo un tasto. Fighissimo.

Purtroppo tutto questo non è proprio alla portata di tutti dal momento che devi smanettare un pochino sulla linea di comando, scrivere qualche script bash, zsh o python e scrivere della automazioni con Shortcuts e AppleScripts. Ovviamente io mi ci diverto un sacco ma non è proprio user friendly.

Per fortuna la comunità di Obsidian è attivissima e ci sono una valanga di esempi e di tutorial che possono guidare con successo anche l’utente meno esperto.

P.S. Non lascio i link ai plugin perché trovarli è estremamente facile e perché sono pigro e non ho voglia di editare i link.

Le fotografie

Attilio Galetto di fronte al telaio della Ferrari 125S

In questi giorni sto riconsolidando le varie librerie di fotografie che si sono accumulate negli anni in un unico luogo. E’ una operazione noiosa dal punto di vista tecnico. Prendi di qua, metti di là. Aspetta che devo convertire la libreria ad una nuova versione. Adesso arrivo. Ho quasi finito. Ci siamo.

Dal punto di vista emotivo è una viaggio emozionante. Credo di avere perso l’intero sabato pomeriggio a scorrere le migliaia di foto che negli anni si sono accumulato nei miei hard disk.

Ed ogni foto è una emozione grande. E’ come se si riaprissero le porte della memoria ed improvvisamente ti ricordi perfettamente di quel luogo o di quella occasione. E’ impressionante come i particolari di un momento ritornino immediatamente lucidi come se fossero trascorsi pochi giorni.

Ed insieme a loro arriva anche un velo di tristezza di fronte ad alcune immagini. Mio padre che stringe in braccio Lorenzo. Mamma che bacia Beatrice alla festa di compleanno. Un amica che non c’è più e che sorrideva, come sempre.

Tra tutte queste ci sono due fotografie che sento particolarmente vicine.

Nella prima ci sono mamma e papà, ancora fidanzati, che posano davanti alla Lambretta che Enzo Ferrari ha appena regalato a mio padre per la sua laurea in ingegneria. Sono giovani e felici. Una vita davanti ed il sorriso sulle labbra. E questo oltre ad essere due fighi da paura. Inarrivabili.

La seconda è una foto scattata di corsa mentre accompagnavo Lorenzo e Beatrice a scuola. Sono di spalle e camminano uno di fianco all’altra tenendosi per mano. Guardano avanti ma stanno facendo quel pezzo di strada insieme. Lì dentro c’è tutto. Io sto qualche passo indietro e li lascio andare avanti da soli, pronto ad aiutarli se ce ne fosse bisogno. Loro camminano scegliendo la strada con la consapevolezza di percorrerla insieme. Una discreta metafora della vita.

E poi ci sono tre foto cui tengo molto. Le foto di mio nonno paterno, di mio nonno materno e di mio. Tre uomini che per motivi diversi ho ammirato a dismisura.

Il mio nonno materno, Dante. Era un maresciallo dei Carabinieri. Carabiniere durante la secondo guerra mondiale che ha rischiato la pelle nascondendo armi per i partigiani. Il nonno che sosteneva che entrare in alcuni negozi “non era opportuno per un carabiniere”.

Il mio nonno paterno, Attilio, che entrò in Ferrari nel lontano 1932 e lavorò con l’ingegner Gioacchino Colombo riuscendo a costruire tra le altre la Ferrari 125 S che è una macchina di rara bellezza. Purtroppo ci ha lasciati troppo presto.

Mio zio Rolando, militare in carriera. Comandante dell’ufficio Guerra Psicologica presso il comando NATO di Verona. Prigioniero degli Inglesi in India in giovane età. Un gentiluomo d’altri tempi che mi ha insegnato molto di quello che mi ha reso quello che sono oggi.

Mi piace guardare queste fotografie. Il digitale che è una cosa fighissima spesso nasconde troppo del passato. Ogni tanto bisognerebbe fare un tuffo nel passato, anche se è memorizzato su un disco fisso dimenticato in un cassetto.

Fuga

Photo by 🇻🇪 Jose G. Ortega Castro 🇲🇽 on Unsplash

Queste ultime settimane si sono rivelate essere una vera follia sia dal punto di vista professionale che personale. Conversazioni, riunioni, mail, presentazioni, numeri, avvocati, clienti, colleghi.

Scherzavo con dei colleghi dicendo che mi sarebbe piaciuto scappare in Brasile e fuggire da tutto e da tutti, quasi tutti ad essere estremamente sincero.

In questi giorni nemmeno la musica, la lettura o la magia sono stati in grado di restituirmi un pochino di serenità e di tranquillità.

Così ho aperto un finestra sul terminale e ho lanciato il mio caro vecchio vi. Io che sono un anziano alla fine torno sempre lì. Posso affermare che in trent’anni di affettuoso utilizzo oramai siamo intimi. Se si superano gli scogli iniziali e si capisce il suo modo di funzionare non ha niente da invidiare agli IDE più fighi che ci sono sul mercato. Questo ovviamente parlando di puro e semplice editing di codice.

E poi vogliamo mettere la poesia di quello schermo nero con il cursore che lampeggia quietamente? A me fa tornare indietro a degli anni che erano certamente meno complessi di quelli che sto vivendo ora.

E così mi sono messo a scrivere un pochino di codice per chiacchierare con il mio sistema di home automation. E mentre mi concentravo sul codice che lentamente prendeva forma tutti i pensieri e le preoccupazioni sono lentamente passati in secondo piano.

La mia quarta via di fuga ha funzionato. Ho speso un paio d’ore in totale relax senza pensare a null’altro che non fosse quella lunga lista di costrutti che stavo lentamente assemblando.

Quello che mi piace del codice, e della programmazione in generale è il fatto che non ci sono storie od ambiguità. Quello che scrivi viene eseguito. Non ci sono spazi di interpretazione, fraintendimenti, possibilità. Se scrivo a, succede b. Sempre.

Il codice è come la coperta di Linus. Una certezza assoluta, almeno per me.

Quando desidero esprimere la mia indole dittatoriale mi dedico alla programmazione. Dentro la finestra di vim sono il signore e padrone.

Mica pizza e fichi.

Il mio prossimo esercizio di distrazione sarà quello di fare compilare ad uno script Python la mia nota spese prendendoli dall’estratto conto della mia carta di credito aziendale e depositarli dentro Expensify. Sono sempre in un ritardo che mi conduce al limite del licenziamento.

Una missiva per Fedez

Photo by Anne Nygård on Unsplash

(Che non conosco…)

Fedez o, meglio, Federico non mi sei mai stato molto simpatico, devo essere sincero. Troppo facile sarebbe ora dire il contrario.

Negli ultimi anni mi sei diventato un pochino più simpatico per via delle tue, mi ostino a ritenere, sincere prese di posizione. Certo, da una posizione indubbiamente privilegiata, ma pur sempre prese di posizione. E per dirla tutta, al di là delle specifiche affermazioni chi si schiera ha sempre e comunque la mia approvazione. Non sono mai riuscito a tollerare coloro che non prendono una posizione, quale che sia l’argomento.

Qualche giorno fa ho visto il tuo video in cui annunciavi di avere un problema di salute di cui avresti dovuto occuparti con la massima urgenza.

Ti confesso che la cosa mi ha colpito.

Durante quel video hai detto una cosa interessante. Se posso usare la mia figura per dare forza anche solo ad una persona, sarà servito a qualcosa.

Purtroppo c’è stata una frangia di cavernicoli che ti hanno preso a schiaffi per quel video. Con toni più o meno urbani ti hanno accusato di volerti fare pubblicità, attirarti simpatie, ottenere visibilità.

Io non ci ho letto questo. Ci ho letto una miscela di paura, determinazione, speranza e coraggio. La paura arriva a più livelli. La prima è la paura personale di avere scoperto di avere un ospite indesiderato nel proprio organismo che mette la tua vita in pericolo. La seconda è la paura per le sofferenze che i tuoi figli e tua moglie possono soffrire mentre tu affronti l’abusivo inquilino. Ed infine la paura per il futuro.

C’era determinazione perché hai sostenuto di volere fare tutto il possibile per rendere esecutivo lo sfratto all’inquilino facendo in modo che lasciasse intatta la casa di cui si è impossessato.

C’era speranza perché nei tuoi occhi non si leggeva rassegnazione.

E ci vuole anche coraggio, molto. Ci vuole coraggio per mettersi davanti ad una telecamera per rivelare che hai un problema di salute serio. Il comportamento generale è quello di nascondere la malattia, in particolar modo quella grave. Dobbiamo tutti essere fighissimi, sempre sorridenti. Dobbiamo sembrare sempre al nostro meglio.

Ti confesso che da questo punto di vista ho ammirato il tuo coraggio. Ci ho riflettuto e ho realizzato che io non ci sarei riuscito. In questo ti sei dimostrato un uomo migliore di me. Chapeau!

Mettere insieme paura, determinazione, speranza e coraggio non è una operazione banale per un uomo della tua età. Ti ripeto che non te ne facevo capace. Ed invece, contrariamente a tutti i pronostici, ci sei riuscito alla grande.

Sei troppo esposto al pubblico per non avere maturato la capacità di non reagire alla folta schiera di debosciati che ti criticano quando pubblichi qualcosa sui social. Non mi dilungo oltre.

Ti dico solo che la cosa mi ha un pochino infastidito. Nel caso specifico non te la meritavi affatto. Avresti meritato un semplice “Un abbraccio forte, coraggio!”. E bona. Finita lì.

Questo avrei voluto dirti dopo avere visto quel video.

Non ho letto più nulla sul tema sino a ieri. Te lo confesso. Non ho nemmeno cercato informazioni perché non ti conosco. Mi era solo rimasta dentro la tristezza nel venire a conoscenza che un ragazzo giovane se la stava vedendo brutta.

(Per i cavernicoli che leggono queste righe e che mi diranno che ci sono migliaia di persone che stanno male dico solo “esticazzi”. Io stavo leggendo di lui, e su di lui faccio le mie considerazioni)

Leggo quindi che hai passato più di sei ore in sala operatoria per lo sfratto esecutivo dell’inquilino abusivo. Mi pare di capire che l’ufficiale giudiziario, armato di bisturi, abbia dato il meglio di sé.

In tutta sincerità ne sono felice.

Anche in questo caso i cavernicoli sono intervenuti copiosi. E’ stato operato subito perché è un VIP (che poi a me essere un VIP sembra più una sola che un vantaggio, ma tant’è). Hanno lasciato entrare la famiglia anche se non si poteva. Ha potuto permettersi le cure migliori perché è una persona facoltosa.

In primo luogo mi viene da dire che se uno vuole farsi pubblicità non credo che passerebbe sei ore in una sala operatoria con il ventre aperto come una scatola di sardine. Questo giusto per dire qualcosa alla prima ondata di cavernicoli.

Hai certamente goduto delle migliori cure e del miglior trattamento possibile grazie alle tue sostanze. E’ innegabile.

Ti dico che io avrei fatto esattamente lo stesso. La mia vita è in pericolo? La risposta era evidentemente sì. La mia famiglia potrebbe soffrire di un esito nefasto? Ancora più evidentemente la risposta è sì.

Chiunque avrebbe fatto esattamente quello che hai fatto tu avendone la possibilità. Sarebbe ipocrita sostenere il contrario.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che non è giusto che tutti non possano permettersi lo stesso trattamento. Pensiamoci, interveniamo, protestiamo ma mi auguro davvero che tu venga lasciato in pace sulla tua scelta specifica.

Ripeto. Io avrei preso la tua stessa identica decisione. Non c’è storia.

Ho visto la cicatrice, ma ho subito distolto lo sguardo che a me certe cose fanno un pochino impressione. Ora, o hai assunto l’erede di Rambaldi per fartela simulare o ti hanno aperto davvero per benino. E qui torniamo ai cavernicoli di cui sopra.

Leggo che sei in piedi e che ti stai riprendendo.

Ripeto, non ti conosco, ma sono davvero felice per te.

Un abbraccio, e coraggio!

Oh, se poi ti sei inventato tutto che peste ti colga!

Nota per i cavernicoli:
Cavernicoli, datemi l’opportunità di sfoltire la lista delle persone che mi leggono. Alcune persone è meglio che leggano altro.

iPhone

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Seguendo le imposizioni di Swisscom è arrivato il momento di cambiare il mio telefono ad un modello più recente. Per questa ragione ieri mi è stato consegnato un iPhone 13 Pro in sostituzione del precedente.

In realtà erano settimane che il telefono era pronto perché io lo ritirassi ma non ne sentivo alcuna necessità e ho quindi aspettato la prima condizione logistica favorevole per prenderlo.

Generalmente il passaggio da un telefono all’altro è sempre stata questione di minuti ma ieri è andata in maniera un pochino diversa. Il telefono non voleva saperne di attivarsi e, una volta attivato, non aveva nessuna intenzione di recuperare il backup iCloud del precedente.

Dopo una brevissima ricerca online scopro che i servizi di Apple erano in qualche modo non accessibili e che quindi non sarebbe stato facile procedere a quanto dovevo fare per rendere il nuovo telefono utilizzabile.

Oggi si legge che i servizi Apple in generale sembrano essere sotto un attacco DDOS generato da Anonymous nel tentativo di impedire all’esercito Russo di localizzare alcuni device sul territorio Ucraino. Non ho idea se questo corrisponda a realtà o meno ma la cosa è interessante.

Alle ventuno di ieri sera il mio telefono non era ancora riuscito a recuperare i dati necessari per poterlo definire “pronto all’uso”. Un tempo avrei speso la serata nel tentativo di finire il processo e giocarci un pochino. Al contrario, lo ho collegato ad una presa di corrente per ricaricarlo e mi sono infilato sotto le coperte a leggere un libro.

Devo avere decisamente perso l’interesse per il “giocattolo nuovo”.

Questa mattina il telefono sembrava essere finalmente in grado di sostituire il suo predecessore. Mi faccio il consueto giro delle applicazioni fondamentali, almeno per me, e verifico di non dovere inserire credenziali di accesso nel momento in cui ne avrò bisogno. Alcune applicazioni sono in grado di recuperare le credenziali dal backup di iCloud, altre no. Un giorno o l’altro dovrei cercare di capire dove è la differenza dal punto di vista tecnico. Immagino che dipenda dalla architettura della applicazione e da quali dati questa decida di lasciare su iCloud.

La peggiore scoperta è il fatto che l’applicazione di autenticazione di accesso alla mia banca online deve essere configurata nuovamente per il nuovo telefono. Bene, andiamo avanti. Inserisci il numero del contratto, aspetta che arrivi il codice OTP per verificare che tu abbia davvero quel numero di telefono associato al contratto e che tu tenga tra le mani il telefono che stai cercando di utilizzare. E poi la sorpresa…

Grazie per avere concluso le operazioni preliminari per l’autorizzazione di un nuovo telefono. Tra due o tre giorni riceverà nella sua casella di posta un codice PIN con il quale potrà concludere la procedura.

No, davvero? Per posta? Quella posta dove c’è un essere umano che mette un pezzo di carta indirizzato a me in un cassetto messo fuori dalla mia porta?

Non ci credo. Eppure è così.

Evidentemente anche in Svizzera la digital transformation sta vivendo dei momenti molto infelici per affermarsi. Ora mi metto in attesa del passaggio del postino per recuperare questo codice.

I miei quattrini sono al momento inaccessibili se non attraverso le carte di credito e di debito.

Mi ricordo poi che il telefono vecchio è ancora operativo e correttamente inizializzato per l’uso con l’applicazione di home banking. I miei soldi non sono più prigionieri ma sono vincolati all’uso di un device che viene considerato obsoleto. Per fortuna ho resistito alla tentazione di inizializzarlo.

Tra una call e l’altra giocherello un pochino con il telefono ma, in tutta sincerità, non noto nessuna differenza rispetto al modello precedente. Se vogliamo dirla tutta l’unica differenza è che questo nuovo telefono non mostra i segni del tempo come il precedente.

Per il resto non mi emoziona particolarmente. Forse, a questo giro, avrei anche potuto evitare di fare questo cambiamento. Del tutto non necessario sebbene previsto dal contratto in essere con Swisscom.

Il mio Kindle

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Sono oramai moltissimi anni che ho quasi definitivamente abbandonato i libri di carta per fare uso degli e-book. Da sempre sono un utente affezionato di Kindle e non ho mai avuto ragione di dovere cambiare nel tempo.

Il fatto di avere sempre a disposizione la mia intera biblioteca è un elemento che mi piace moltissimo. Se lego questo aspetto al fatto che posso sottolineare ed evidenziare dei passaggi per poi sincronizzarli con il mio computer credo di avere trovato il migliore strumento di lettura per quello che sono le mie abitudini e le mie necessità.

Non mi manca il profumo della carta sebbene riconosca il fatto che ha un suo grande fascino. Nonostante questo mio comportamento prettamente digitali non riesco mai a resistere al richiamo di una libreria. Naturalmente ne esco sempre con qualche volume che, con piacere, leggo pur essendo “materializzato”.

Rispetto a questo mio modo di consumare le mie letture ci sono tre grandi eccezioni che mi fanno rivolgere al libro di carta rispetto alla sua versione digitale.

I primi sono i libri d’arte come, ad esempio, i cataloghi delle mostre che visito. In questo caso specifico non c’è paragone alcuno tra l’esperienza digitale e quella del libro in carta e copertina. Tra l’altro sono cose che mi piace avere a portata di mano nel mio salotto quando provo il desiderio di distrarmi con qualcosa di bello.

A questo genere di libri si affiancano le mie letture di poesia. Non sono ancora riuscito a darmi una spiegazione ma non riesco a leggere poesia sul Kindle. E’ come se questo genere di letteratura avesse bisogno di un supporto fisico per riuscire a comunicarmi il suo contenuto. La stessa poesia su uno schermo e-ink non mi fa lo stesso effetto.

L’ultima categoria riguarda i libri di magia. Chi mi segue da qualche tempo sa che mi diletto con questo passatempo. Nel corso degli ultimi due anni la mia libreria magica si è molto ampliata e da qualche tempo ho cominciato a collezionare libri più o meno antichi sul tema. Anche in questo caso il Kindle non è lo strumento adatto al genere. E’ vero che ci sono libri che si adattano perfettamente al formato del Kindle ma è altrettanto vero che ci sono libri di grande formato, grandemente popolati di immagini e fotografie, che non si prestano affatto ad essere digitalizzati.

Il distinguo parrebbe quindi essere un compromesso tra facilità di accesso al contenuto e tipologia di contenuto.

Il Kindle mi permette di portarmi in vacanza i classici dieci libri che generalmente leggo nei miei quindici giorni di riposo senza dovergli dedicare un trolley ed assumere uno sherpa per portarmelo in giro. A questi in genere affianco sempre un libro, generalmente di magia, cartaceo che tratta un argomento che vorrei approfondire mentre me ne sto sdraiato in spiaggia e seduto sul balcone di una baita in montagna. In questo caso apprezzo il valore del formato che Kindle non è in grado di restituirmi con la sua esperienza.

Questo approccio per me funziona egregiamente.

Le fotografie

Photo by Barrett Ward on Unsplash

In questi giorni sto riconsolidando le varie librerie di fotografie che si sono accumulate negli anni in un unico luogo. E’ una operazione noiosa dal punto di vista tecnico. Prendi di qua, metti di là. Aspetta che devo convertire la libreria ad una nuova versione. Adesso arrivo. Ho quasi finito. Ci siamo.

Dal punto di vista emotivo è una viaggio emozionante. Credo di avere perso l’intero sabato pomeriggio a scorrere le migliaia di foto che negli anni si sono accumulato nei miei hard disk.

Ed ogni foto è una emozione grande. E’ come se si riaprissero le porte della memoria ed improvvisamente ti ricordi perfettamente di quel luogo o di quella occasione. E’ impressionante come i particolari di un momento ritornino immediatamente lucidi come se fossero trascorsi pochi giorni.

Ed insieme a loro arriva anche un velo di tristezza di fronte ad alcune immagini. Mio padre che stringe in braccio Lorenzo. Mamma che bacia Beatrice alla festa di compleanno. Un amica che non c’è più e che sorrideva, come sempre.

Tra tutte queste ci sono due fotografie che sento particolarmente vicine.

Nella prima ci sono mamma e papà, ancora fidanzati, che posano davanti alla Lambretta che Enzo Ferrari ha appena regalato a mio padre per la sua laurea in ingegneria. Sono giovani e felici. Una vita davanti ed il sorriso sulle labbra. E questo oltre ad essere due fighi da paura. Inarrivabili.

La seconda è una foto scattata di corsa mentre accompagnavo Lorenzo e Beatrice a scuola. Sono di spalle e camminano uno di fianco all’altra tenendosi per mano. Guardano avanti ma stanno facendo quel pezzo di strada insieme. Lì dentro c’è tutto. Io sto qualche passo indietro e li lascio andare avanti da soli, pronto ad aiutarli se ce ne fosse bisogno. Loro camminano scegliendo la strada con la consapevolezza di percorrerla insieme. Una discreta metafora della vita.

Mi piace guardare queste fotografie. Il digitale che è una cosa fighissima spesso nasconde troppo del passato. Ogni tanto bisognerebbe fare un tuffo nel passato, anche se è memorizzato su un disco fisso dimenticato in un cassetto.

Sono un patrimonio di ricordi che varrebbe la pena scorrere di tanto in tanto.

Tutto il mondo è paese

Photo by Nathan Dumlao on Unsplash

E con un titolo degno del migliore populismo e della chiacchiera da bar iniziamo questo scritto del lunedì.

La UCLA, University of California, Los Angeles, pubblica una offerta di lavoro per la posizione di Adjunct Professor nel dipartimento di Chimica e Biochimica. Il candidato ideale deve essere in possesso di un PhD in chimica, biochimica od equivalente.

Non solo: “have significant experience and strong record in teaching chemistry or biochemistry at the college level.”

Fino a qui nulla di strano. Mi sembra ovvio che un professore universitario sia sufficientemente qualificato per insegnare una materia e che sia in grado di dimostrare di averlo fatto con successo in passato.

Il bello di questo annuncio arriva con questa frase: “Applicants must understand there will be no compensation for this position.”

Questa è veramente bellissima e ci riporta al titolo dello scritto di oggi. Ti sei fatto un mazzo tanto per portarti a casa il tuo PhD, hai insegnato con successo e ti sei quasi guadagnato i galloni da professori e, alla fine, lo farai gratis.

Naturalmente si scatena un inferno al quale UCLA tenta di mettere una pezza rilasciando la nota che vedete qui sotto.

Mah, mi ricorda molto da vicino alcuni annunci che vedo transitare nella italica penisola su LinkedIn.

Quello che mi stupisce e che chi li posta non riesca ad immaginare il fiume di guano che li travolgerebbe dopo averlo fatto. Alla fine basterebbe semplicemente mettersi nella posizione di chi lo legge il tuo annuncio. Se ti sembra una cazzata, probabilmente è una cazzata.

Il problema è che sono tutti così tanto presuntuosi da essere convinti che quel genere di offerte non solo sia legittima ma che rappresenti addirittura un privilegio per coloro che si candidano.

Un bagno di umiltà non farebbe male.

Ricordo nei giorni passati di avere letto qualcosa nel mio feed che sosteneva che sarebbe stata una buona idea retribuire le persone che sostengono un colloquio. E questo oltre a coprire le eventuali spese sostenuto per fare il colloquio.

Devo confessare che non mi sembra affatto una idea peregrina. Forse sarebbe il caso di farci una pensata. Magari non una retribuzione di carattere monetario, che fiscalmente in Italia sarebbe un incubo da gestire, ma, ad esempio, una gift card.

Tutto sommato credo che potrebbe essere un buon biglietto da visita per posizionare la propria azienda nella testa del candidato.

E quindi…

Photo by Tom Radetzki on Unsplash

… i complottisti avevano ragione?

Verrebbe da dire di sì. Mi riferisco ai dubbi che si levarono sui temi relativi alla privacy ed all’uso dei dati raccolti dopo il lancio della applicazione Immuni in Italia e di applicazioni simili nel resto del mondo.

Qualcuno dubitò che le informazioni raccolte da queste applicazioni potessero essere utilizzate in maniera inappropriata o non strettamente legate al tracciamento dei contatti tra possibili soggetti infetti.

Al tempo tutti sostennero che questo era un rischio che non esisteva e, personalmente, anche io ritenni che il rischio era marginale.

Ebbene, mi sbagliavo.

La polizia tedesca ha utilizzato i dati raccolti da una applicazione per il tracciamento dei contagi per identificare i testimoni di un crimine.

Lo riporta il Washington Post in questo articolo: German Police used a tracing app to scout crime witnesses. Some fear that’s fuel for covid conspiracists.

Vi consiglio la lettura dell’articolo. In primo luogo perché credo che il Washington Post sia una fonte autorevole ed in secondo luogo perché il contenuto è interessante.

A quanto pare nel corso della pandemia ci sono stati migliaia di richieste da parte dei corpi di polizia di diversi paesi per l’ottenimento di informazioni raccolte da applicazioni simile alla nostrana Immuni.

In parte trovo corretto il commento del Washing Post che sostiene che tali episodi sono un carburante perfetto per le ipotesi complottiste che circondando questa pandemia. Credo che sia vero che notizie come questa possano contribuire ad alimentare le più fantasiose ipotesi.

D’altra parte è inevitabile notare che si tratta di un fatto gravissimo.

Se un paese particolarmente attento ai temi della privacy come la Germania si trova a rilevare un caso come questo è perfettamente chiaro che ci sono delle cose che hanno smesso di funzionare.

La legislazione sulla privacy. Io mi dichiaro d’accordo a fornire dei dati sensibili sulla mia persona a fronte della garanzia che questi dati vengano usato per uno, ed uno solo, caso specifico. In sostanza firmiamo un contratto, così come facciamo in qualsiasi momento accettiamo i termini e condizioni di un qualsiasi prodotto o servizio. Se poi mi accorgo che tu rilasci quelle informazioni a chiunque, ed in particolare a forze di polizia, col cavolo che mi fiderò ancora di te.

Se la legislazione non riesce a proteggere i miei dati la mia fiducia nelle istituzioni scende al minimo e, semplicemente, io smetto di fidarmi.

Devo confessare che questa notizia mi ha decisamente scosso ed ora in avanti ci penserò tre volte prima di accettare di cedere i miei dati personali.

Avevo installato Immuni perché contavo su quella protezione e perché ritenevo fosse la cosa giusta da fare. Oggi la ho disinstallata dal mio iPhone perché, molto semplicemente, non mi fido di chi dovrebbe proteggere le importanti informazioni che sto cedendo.

In parte, e mi pesa dirlo, chi pensava ad un complotto forse aveva una qualche ragione.

Tecnologia accessibile

Photo by Nana Dua on Unsplash

Durante l’ultimo evento di Apple è stata annunciata, tra le altre cose, la disponibilità di un nuovo monitor che si chiama Studio Display.

Lo Studio Display è un monitor che va ad affiancare il Pro Display HDR che cosa la bellezza di 5.599 Euro.

Quello che mi lascia perplesso è il fatto che lo Studio Display costa 1.799 Euro che per un monitor da 27 pollici è una discreta cifra.

Nonostante questo alcuni senior executive di Apple dicono che:

We wanted it to be a great, very accessible, very mainstream display for all of our Mac users.

Non so voi ma io penso che 1.799 Euro non sia proprio da considerare un prezzo accessibile a tutta la platea di utenti Mac.

Ancora una volta, meraviglie del marketing.

Apple Mac Studio e le bugie

Photo by Zhiyue Xu on Unsplash

Qualche tempo fa Apple ha annunciato il Mac Studio. Come sempre l’annuncio è stato fatto in perfetto stile Apple.

Per la prima volta dopo tanto tempo ho seguito l’evento online dalla televisione del mio salotto perché ero decisamente curioso di vedere che cosa avrebbero annunciato.

Tutti coloro che seguono questo mondo sanno bene quanto Apple si sia dedicata alla progettazione e produzione dei microprocessori da utilizzare sulle proprie piattaforme. A partire dal chip M1 lo sviluppo è ovviamente continuato sino ad arrivare agli ultimi annunci, l’M1 Ultra.

E’ indubbio che abbiano fatto un lavoro incredibile da questo punto di vista. Il mio MacBook Air con architettura M1 ha una durata della batteria assolutamente incredibile e delle prestazioni di tutto rispetto sopratutto pensando alle dimensioni della macchina.

Eppure c’è qualcosa che non mi torna nella narrazione di Apple, ed in particolare nel grafico che vedete qui sotto:

Non mi convince perché per quanto in Apple siano bravi trovo molto difficile dire che l’M1 Ultra possa essere più performante di una scheda grafica di alto livello. Immagino che in quel grafico si faccia riferimento ad una delle migliori schede grafiche prosumer oggi disponibile sul mercato, ovvero la RTX 3090 di NVidia.

Sicuramente il contenuto del grafico è veritiero. Il chip M1 consuma molto meno energia a parità di prestazioni. Che questi chip siano estremamente efficienti dal punto di vista energetico è un dato di fatto già confermato in passato.

Al contrario il messaggio che un M1 possa superare in velocità la RTX 3090 mi sembra estremamente improbabile e molti siti che si occupano di benchmark sembrano confermare questa mia ipotesi.

Il marketing è sempre il marketing ed Apple è libera di dire quello che le pare quando parla di un suo prodotto. Certo è che il grafico di cui sopra è abbastanza fuorviante.

In questi giorni, eresia, stavo pensando di costruirmi un PC Desktop basato su Windows perché ultimamente i miei interessi si stanno spostando verso Unity, Blender, Machine Learning ed Intelligenza Artificiale. Sto notando che il mio MacBook Pro con architettura Intel fa fatica a stare appresso a Unity e ad altre cose che sto facendo. Ad un certo punto partono le ventole e mi sembra di essere in un eliporto durante l’atterraggio di un elicottero.

Naturalmente come scheda video stavo pensando proprio ad una RTX 3090.

Per qualche istante ho pensato che il Mac Studio potesse essere una alternativa. Non credo che sia questo il caso. A parità di prezzo posso costruirmi una macchina molto più potente su una diversa architettura.

E questo senza contare il fatto che il Mac Studio così come lo compri, rimane. Non puoi aumentare RAM e storage a meno di non pensare ad interventi a cuore aperto.

Insomma, è bene evidente che il Mac Studio è un piccolo mostro. Come sempre tutto dipende da quello che ci devi fare. Il prezzo mi sembra comunque discretamente alto. Non tanto nelle configurazioni base ma nel momento in cui provi a renderlo un pochino più ciccione di quello che è.

Insomma. Per il momento per me è un no.

Devo comunque trovare qualcuno che mi aiuti nella creazione della lista della spesa del mio Desktop quando sarà il momento. Anche in quel mondo è diventato tutto così complesso che è difficile orientarsi con facilità.