I’m speaking

Guardo, tutto sommato con interesse relativo, degli estratti del dibattito tra l’attuale vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence ed il candidato vicepresidente Kamala Harris.

Niente di stupefacente tutto sommato.

Mi colpisce come sempre il fatto che in qualsiasi dibattito ci sia qualcuno che tenta di imporsi sugli altri con l’arroganza della interruzione. Ci sono poche cose che mi mandano in bestia e questa è una di quelle. L’educazione all’ascolto. Riuscire a trattenere il desiderio di ribattere per ascoltare fino in fondo quello che un’altra persona ha da dire è un tratto per me fondamentale.

Maleducazione e arroganza. Quello che ho da dire io è più importante di quello che hai da dire tu.

Se poi la persona che viene interrotta è di sesso femminile la cosa mi urta ancora di più.

Mi ha fatto piacere notare che con grandissimo savoir-faire la signora Kamala Harris ha più volte ripreso Mike Pence con una semplice, ma potentissima, affermazione: “Mister vice president, I’m speaking”.

Ancora una volta la potenza delle parole risulta essere dirompente, così come quella della buona educazione. E questo al di là di qualsiasi considerazione politica che non ha cittadinanza in questo scritto.

Signora Kamala Harris, chapeau!

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Il buffo dell’internet delle cose

Internet of Things. Concetto affascinante che mi ha attirato sin dal primo momento. La mia casa è piena di cose più o meno intelligemente connesse ad Internet e, sino ad ora, ho comprato solo oggetti di cui non fosse conosciuta alcuna seria vulnerabilità. Per il momento ha funzionato.

Tra le varie cose stravaganti che sono connesse ad Internet e che si possono controllare in modalità remota ci sono, naturalmente verrebbe da dire, i sex toys.

Tra le tante varietà di questi oggetti connessi ad Internet esiste un prodotto Cinese che altro non è che una moderna versione di una cintura di castità destinata all’uso da parte di noi maschietti. Il concetto è semplice. Questo oggetto viene indossato sul tuo personale impianto idraulico e solo chi controlla il sistema da remoto può aprirlo e liberarti dall’impedimento.

De gustibus non disputandum est.

La cosa buffa è che dei ricercatori hanno scoperto che il sistema è vulnerabile ad un attacca da parte di un malintenzionato ed è quindi possibile per qualcuno non autorizzato avere accesso all’oggetto e bloccarne l’apertura, per sempre.

A peggiorare le cose il fatto che il design dell’oggetto non prevede la possibilità di uno sblocco manuale. Se rimani bloccato, sei bloccato per sempre.

La cosa ancora più buffa è che la notizia, in origina data da un post di Pen Test Partners (no pun intended…), è stata ripresa da un numero enorme di testate internazionali come Techcrunch, The Verge ed anche la sobria BBC.

Interessanti anche i numeri stimati. Sembra che almeno 40.000 unità prodotte dalla società Qiui siano vulnerabili. Notare che il device è in vendita a circa 190 USD che non sono proprio pochi quattrini. Ci sono quindi più di quarantamila uomini il cui impianto idraulico può essere inutilizzabile. Numeri interessanti. Sarei curioso di leggere il testo di una potenziale lettere di richiesta di ricatto.

Leggendo il post di Pen Test Partner scopro un’altra cosa affascinante. C’è un gruppo di ricercatori di sicureza informatica che esplora tutto l’universo dei sex toys connessi in cerca di potenziali vulnerabilità. Hanno un sito web ed il nome è già tutto un programma: The Internet of Dongs Project.

La rete non finisce mai di stupirmi e di divertirtmi.

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Barriere virtuali

Come ho scritto qualche giorno fa ho cominciato a disegnare. Dopo una decina di giorni è diventata una abitudine quasi come quella di tenere un mazzo di carte in mano facendo esercizio su qualche “sleight of hand” mentre mi sto occupando di qualcos’altro. Entrambe le cose mi liberano la mente e mi aiutano a concentarmi con maggiore efficacia.

Mi sono iscritto ad un corso di disegno online per avere almeno una linea guida dal moento che non sapevo da che parte cominciare. Niente di impegnativo. Credo che il corso nella sua completezza duri qualcosa come 5 ore di video. Poca roba ma sufficiente per farmi partire.

Il corso è affiancato da una community online in cui chi partecipa può scambiare pareri ed opinioni ed allo stesso tempo può condividere i propri progressi.

Mentre scorrevo gli interventi su questo forum riflettevo su una peculiarità che credo riguardi qualsiasi hobby cui ci dedichiamo.

Se ci fate caso, quale che sia l’argomento trattato, il numero di post su quali siano gli strumenti e gli oggetti migliori per quella specifica attività sono molto più numerosi rispetto a tutti gli altri.

Questa cosa mi ha colpito molto e mi ha fatto riflettere.

La mia lettura è che si tratti di qualcosa che ha a che fare con l’insicurezza e con la volontà.

Da un lato ci diciamo che se non ho a disposizione gli strumenti migliori per lavorare a qualcosa non sarò in grado di fare un buon lavoro. Per questo cerco di comprare la chitarra migliore con il migliore amplificatore per poi aspettare di avere quel famoso pedale senza il quale non ottengo il suono che vorrei. Se devo disegnare devo compare la migliore matita esistente nell’universo ed il migliore set di acquarelli. Questo per poi rendermi conto che mi manca ancora qualcosa per essere perfetto e ricominciare un ciclo che si protrarrà all’infinito.

E’ ben evidente che non si ha bisogno della chitarra migliore e del pennello perfetto per cominciare a praticare un hobby. Ricordo un video di un chitarrista che in un supermercato Walmart suonava una chitarra brandizzata Hello Kitty del costo di pochi dollari ed era una cosa spaziale.

Il materiale è quindi una scusa. La realtà delle cose è che temiamo il giudizio degli altri e quindi cerchiamo di fare del nostro meglio per ottenere un giudizio positivo. Questo è il motivo per il quale continuiamo a comprare cose.

Del giudizio degli altri non dovrebbe fregarci proprio nulla. Prendi in mano la chitarra, una qualsiasi, e comincia a suonare. Prendi in mano una manita ed un tovagliolo di carta e disegna. Fregatene degli altri. Lo stai facendo per te e non per gli altri. Se proprio temi il giudizio suona nella tua stanza e metti i tuoi disegni nel cassetto quando hai finito.

Per quanto riguarda il tema della volontà il discorso è affine. Non posso suonare perché sto aspettando che mi arrivi quella cosa che rende il mio suono perfetto. Non posso dipingere perché mi manca quel colore. Sono tutte scusa per non mettersi alla prova perchè, in fin dei conti, temiamo anche il giudizio che noi stessi ci diamo. Anche in questo caso si dovrebbe farsene un baffo e suonare o dipingere senza menarsela troppo.

Si tratta di fare e non di aspettare. Il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo. Non lasciamo scorrere senza consapevolezza ed intenzione.

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Videocamere e machine vision

Durante le mie consuete incursioni su Kickstarter mi è capitato di imbattermi in Vizy. Vizy altro non è che una potente telecamere connessa ad un Raspberry Pi sul quale viene installato tutto il software necessario per realizzare progetti di Machine Vision.

La cosa stupefacente è la potenza di questa combinazione. Nelle condizioni ideali la telecamera, un sensore Sony IMX477, è in grado di raccogliere 300 frame al secondo. Dal punto di vista del software si fa un uso intensivo di Tensor Flow e OpenCV.

Una delle tante funzionalità rese disponibili è l’identificazione di un oggetto e la possibilità di seguirlo nei suoi movimenti in tempo reale, la possibilità di compiere misurazioni sull’oggetto in questione (dimensioni, velocità, luminosità, ecc. ecc.), così come la possibilità di riconoscere i volti.

E’ inoltre possibile compiere delle azioni a fronte del manifestarsi di alcune condizioni come ad esempio cominciare una registrazione del video in caso di rilevamento del movimento.

E’ possibile portarsi a casa tutto questo per la modica cifra di 229 dollari.

No, non la ho comprata. In questo momento la Machine Vision non rientra molto nei miei interessi. Lo fu in passato quando avevo in mente un progetto che chiamai Paper Circuits.

Quello che mi interessa, invece, è notare come con così poco denaro sia possibile portarsi a casa un oggetto dalle potenzialità enormi rispetto al passato.

La riflessioni che andrebbe fatta è la seguente: se con così poco denaro posso avere a disposizioni un oggetto così evoluto, potente e, se vogliamo, così invasivo che cosa possono fare aziende private ed enti governativi che hanno a disposizione un budget enormemente più grande?

Ogni volta che guarderò una telecamera la guarderò con occhio diverso. Lei sa chi sono.

Continui aggiustamenti

Ci sono dei momenti in cui il desiderio di suonare la chitarre invade ogni mio momento libero. Finisco per dedicare a questa attività un sacco di tempo ma sempre in maniera molto destrutturata.

Non ambizioni da palco ma, molto più semplicemente, solo il desiderio di fare uscire qualcosa di discreto dagli strumenti che ho in casa.

Una parte consistente di questa frenesia riguarda la cura degli strumenti. Ciclicamente pulisco tutte le mie chitarre a dovere, sostituisco le corde e me ne prendo cura.

Nel tempo mi sono dotato di tutti gli strumenti necessari per fare questa cosa e la manualità delle operazioni mi affascina. Quello che ancora mi colpisce e che non sono mai soddisfatto del risultato o, meglio, mi ritrovo sempre a fare aggiustamenti uno dopo l’altro.

Cambio in continuazione l’azione delle corde in funzione del mood del momento. In alcuni periodi mi piace molto alto ed in altri molto basso. Per una settimana mi affeziono al suono di un plettro e poi lo rimetto nel cassetto. Per un mese suono solo con il mio Fender Blues Junior e poi passo al Roland Cube per finire con Bias Amp sul mio PC. Per qualche mese corde 0.9 e poi di colpo corde 0.11.

Credo che alla fine non esista il setup perfetto per me, così come non esiste per tante cose che mi circondano.

Si tratta di una serie di continui aggiustamenti ed adattamenti alla situazione ed all’umore del momento. Una sperimentazione continua che mi permette di non adagiarmi mai sul presente ma di volgere sempre uno sguardo verso le possibilità che si possono esprimere nel futuro.

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Deepfake

Sono sempre stato affascinato dal livello di tecnologia che è stato raggiunto dai deepfake. La capacità di sostituire il volto di un uomo, od una donna, in un video esistente e sostituirlo con un altro.

Per produrre questo genere di media si deve fare un uso intensivo di algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale.

E’ ben evidente quanto possa essere grave l’impatto dei deepfake sulla vita di ogni giorno. Immaginate la diffusione di video che contengano i messaggi di un capo di stato manipolati alla bisogna, tanto per fare un esempio.

La tecnologia è talmente avanzata che distinguere un documento vero da uno falso è estremamente difficile.

Ieri nel mio feed personale è comparso un link a questo paper:

U. A. Ciftci, I. Demir and L. Yin, “FakeCatcher: Detection of Synthetic Portrait Videos using Biological Signals,” in IEEE Transactions on Pattern Analysis and Machine Intelligence, doi: 10.1109/TPAMI.2020.3009287.

Purtroppo il documento è disponibile solo per l’acquisto ma leggendo l’abstract si ottengono delle informazioni interessanti. Ad ogni modo, se vi interessa, lo trovate a questo link.

Questi studiosi hanno verificato che in ogni video sono presenti dei segnali biologici deboli che non sono visibili all’occhio umano. Uno di questo è il variare del colore della pelle in funzione del battito cardiaco e della circolazione del sangue. Queste variazioni non sono percepite da chi sta guardando il video ma la manipolazione del file video permette di evidenziare il fenomeno in maniera netta e precisa.

I video costruiti tramite la tecnologia deepfake presentano lo stesso fenomeno ma non sono in grado di replicarlo in maniera così precisa come un video originale.

Questa particolare caratteristica permetterebbe di potere distinguere un video falso da uno vero.

Io la trovo una cosa fighissima.

Da un lato la corsa alla creazione di strumenti che permettono di creare e diffondere informazioni false e dall’altro la rincorsa per riuscire a distinguere il vero dal falso. Una sorta di infinito gioco di guardie e ladri.

Infine una considerazione interessante. Chi dovrebbe fare uso dell’algoritmo che permette di distinguere il vero dal falso? L’utente finale? Improbabile. Sappiamo bene quanto la gente si lasci ingannare da qualsiasi fesseria che viene pubblicata sui social network.

Dovrebbe occuparsene il gestore della piattaforma che ospita il video? Probabilmente è così ma è ben evidente che si potrebbe sconfinare nel terreno della censura e della libertà di espressione.

In questi ultimi anni si stanno intrecciando una enorme quantità di temi che ci costringeranno ad una analisi etica, morale e legale della tecnologia e degli algoritmi.

Io credo che sia un tema di una complessità enorme e, allo stesso tempo, di una bellezza infinita.

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Si cambia, ancora

Una delle caratteristiche peculiari di Sketchin è il fatto che è un organismo, mai metafora fu più appropriata, in costante evoluzione. Questo è il motivo per cui è l’azienda nella quale mi sono trattenuto più a lungo in tutta la mia carriera.

E’ nella nostra natura adattarci al cambiamento nel miglior modo possibile. Provando alternative diverse, fallendo, e tenendo quello che di buon abbiamo imparato dai nostri fallimenti.

Abbiamo commesso errori nel tempo, alcuni anche gravi. E’ nella nostra natura e non possiamo, e non dobbiamo rinnegarla.

Al centro di tutto ci sono le nostre persone. Anche in questi tempi di incertezza assoluta stiamo facendo tutto il possibile per mantenere in vita il nostro organismo. Si deve necessariamente lavorare affinché questo sia possibile. E’ naturale il fatto che, come in qualsiasi organismo, alcune cellule si rigenerano ed altre muoiono.

Stiamo, quindi, cambiando di nuovo. Il contesto in cui ci troviamo ad operare muta molto velocemente e noi dobbiamo necessariamente cambiare con lui.

Nei giorni scorsi abbiamo presentato ai nostri clienti l’organizzazione dei nostri servizi ed il nostro modo di interpretare il design. Abbiamo capito che dobbiamo analizzare il mercato attraverso tre diverse lenti:

  • La lente del presente. Cosa possiamo fare oggi per i nostri clienti in modo che possano risolvere le sfide che hanno in questo particolare momento.
  • La lente del domani. Cerchiamo di comprendere cosa accadrà nel futuro prossimo e progettiamo soluzioni per affrontarlo.
  • La lente del futuro lontano. Disegnamo scenari di un futuro possibile.

Questa è una brevissima sintesi del contenuto del nostro nuovo offering. Io trovo che sia un approccio stimolante sebbene richiede una focalizzazione ancora più grande rispetto al passato.

A contorno ci sono tutti quei servizi che sono tesi alla diffusione della cultura che ci contraddistingue.

Contestualmente a questa nuova architettura abbiamo fatto in modo che il nostro sito web rappresentasse in maniera puntuale questo nostro punti di vista. Per questa ragione contestualmente alla presentazione della nostra nuova offerta abbiamo messo online il nostro nuovo sito web.

Vi invito ad andare a guardarlo e dirmi cosa nel pensate: Sketchin si trova qui!

Cose a cui non resisto

Ci sono dei momenti in cui dico a me stesso che devo smettere di comprare cose per il puro gusto di fare esperimenti. Cose che, finiti gli esperimenti, finiscono nel cassetto che io chiamo “della tecnologia dimenticata”.

Inutile dire che Kickstarter ed Indiegogo sono fonte inesauribile di tentazioni. Ci sono delle cose fighissime che coprono quasi tutto lo spettro dei miei interessi.

Una delle mie ultime passioni tecnologiche riguarda le Software Defined Radio. Lo trovo un argomento estremamente affascinante proprio per quello stretto legame che esiste tra questo genere di hardware ed il software.

Per questa ragione nel tempo mi sono comprato diverse chiavette USB SDR ed anche, lo ammetto, una scheda HackRF. Utilizzare questo genere di oggetti con GNU Radio od altri strumenti software è un vero divertimento. Ho potuto ascoltare il traffico proveniente dalla torre di controllo di Malpensa, monitorare il traffico aereo, osservare quanti e quali BTS avevo intorno così come scoprire la lista degli IMSI dei cellulari che avevo intorno. Questi solo alcuni degli esperimenti che ho fatto nel corso di questi ultimi mesi.

Ovviamente non ho potuto resistere ad una nuova campagna di Kickstarter.

Si tratta della campagna per Flipper Zero.

Questa la descrizione del prodotto:

Flipper Zero is a portable multi-tool for pentesters and hardware geeks in a Tamagochi-like body. It loves to explore the digital world around: radio protocols, access control systems, hardware, and more. The main idea behind the Flipper Zero is to combine all the research & penetration hardware tools that you could need on the go in a single case. Out of the box, Flipper is filled with features and skills, but also It’s open-source and customizable, so you can extend its functionality in whatever way you like, along with the community.

Inutile dire che non sono stato in grado di resistere e mi sono fiondato a consegnare il mio denaro ai produttori di quel gadget.

Niente da fare. Per quanto io ci provi non riesco a tenere la mia carta di credito lontana da questo genere di cose.

Le batterie amare

Ci sono delle soluzioni che possono sembrare banali ma il cui impatto è enorme. Piccole modifiche ad un prodotto che lo rendono maggiormente sicuro.

Pensate alle piccole batterie che si trovano in molti dei nostri oggetti di uso quotidiano. Nel caso specifico sto parlando delle batterie tipo CR 2025 e simili. Sono piccolo, sono rotonde e sono luccicanti.

Se le guardiamo con gli occhi di un bambino sembrano delle splendide caramelle e ogni bambino sarebbe certamente tentato di provare ad assaggiarle. Nel peggiore dei casi potrebbe volerle ingerire.

Facendo una veloce ricerca scopro che ci sono circa 3000 casi all’anno di bambini che devono essere trattati per l’ingestione di questo genere di batterie. In tutti i casi il rischio di danni gravi è enorme.

Duracell ha annunciato che su alcune delle sue batterie stenderà una patina che le renderà così amare da essere disgustose. Il meccanismo è semplice. Se pensi che sia una caramella e te la metti in bocca, il gusto amaro ti spingerà immediatamente a sputarla invece di ingerirla.

Se ci si pensa il processo, potremmo dire di design, che conduce a questa soluzione è piuttosto semplice. Se un prodotto assomiglia a qualcosa che posso mangiare che cosa posso fare affinché questo non avvenga? La risposta è semplice: renderla disgustosa.

Altrettanto interessante è il fatto che spesso queste soluzioni sembrano essere al di fuori della portata della maggior parte delle aziende.

Bisognerebbe pensarci su in maniera più approfondita.

Duracell ha una sezione dedicata sul suo sito che narra delle iniziative di sicurezza che ho trovato molto interessante. La potete trovare qui. In qualche modo qualcosa nel campo della responsabilità sociale si sta muovendo, sebbene lentamente.

Fughe

Nel corso del tempo ognuno di noi trova degli strumenti di fuga da utilizzare in quei momenti in cui vogliamo allontanarci dalla pressione del quotidiano.

Nel corso degli anni per me questi strumenti sono diventati questi: suonare uno strumento, la lettura, scrivere codice per un progetto personale e molti altri minori che variano più o meno consistentemente nel tempo.

Qualche giorno fa scrivevo del disegno e della mia volontà di imparare qualcosa.

Ho scoperto che il disegno è davvero uno strumento di fuga fantastico. Mi permette di immergermi in una realtà parallela che riesce a distrarmi come, sino ad oggi, riusciva a fare solo suonare o leggere.

E’ l’atto in sé che permette la fuga e per questo motivo è funzionale solo a se stesso. Non ha bisogno di approvazione o giudizio da parte degli altri. Vive di vita propria.

Tra i vari esperimenti che sto provando sino ad ora trovo che il disegno dalla oservazione diretta è quello che mi piace di più. E mi piace quel modo impreciso e non fatto di assoluto realismo. Il disegno di quello che io vedo e delle cose, e dei tratti, che mi colpiscono. Potrebbe essere una lettura della realtà invece che una semplice rappresentazione fedelissima.

Scopro quindi che esiste lo Urban Sketching che è esattamente quello che in questo momento mi attira maggiormente. Da bravo bambino faccio le mie ricerche in rete e scopro che esiste un movimento che si occupa proprio di questo. Hanno anche un sito Urban Sketchers. Sul sito c’è anche il loro manifesto che ad una prima lettura mi sembra interessante.

Non credo che ci parteciperò attivamente ma mi è sembrata una cosa interessante. Quale che sia il tuo interesse, sicuramente su internet troverai un gruppo con i medesimi interessi. Questa cosa mi fa sempre sorridere.

Le raccomandazioni di youtube

Di tanto in tanto per distrarmi mi dirigo verso YouTube e mi guardo qualche video che rientra nei miei interessi. Può essere un video che parla di chitarre, di computer, di sicurezza o di moto.

A questo punto si mette in moto il motore di raccomandazione di YouTube che cerca di darmi dei suggerimenti sulle mie visioni successive. Diciamo che molto raramente ci prende in pieno. Probabilmente lo spettro dei miei interessi è troppo ampio per permettere all’algoritmo di profilarmi in maniera corretta.

Questa è la ragione, suppongo, per la quale ogni tanto compaiono dei video improbabili nella mia lista di suggerimenti. Li guardo raramente.

Ieri, al contrario, mi è stato presentato il video di un giapponese che restaura libri. Non si tratta del restauro di libri antichi, almeno non solo. Si tratta del restauro di libri che hanno un qualche significato per le persone che richiedono quel servizio all’artigiano. Il video raccontava del restauro di un vecchio dizionario Giapponese/Inglese di proprietà di un padre che voleva donarlo alla figlia. La figlia sta per cominciare l’università ed il padre voleva farle una sorpresa.

A me questa cosa è piaciuta molto. Da un lato la precisa esperienza di un artigiano che è in grado di riportare a nuova vita degli oggetti che molti di noi non esiterebbero a gettare nella spazzatura. La precisione e la lentezza dei gesti. La manualità e gli strumenti. La perizia nel prendere le decisioni migliori negli interessi dell’oggetto e del cliente. Decisamente affascinante.

C’è poi il lato emozionale. Restaurare un oggetto che ha un significato per donarlo al proprio figlio. Sarebbe fantastico essere in grado di farlo da soli ma anche fare uso di un artigiano per raggiungere il risultato è un gesto pieno di poesia ed amore.

A questo punto il motore di raccomandazione comincia a fare il suo lavoro e mi suggerisce altri video sul genere di quello che ho appena visto. Scopro che c’è un canale che contiene molti video di questi artigiani giapponesi e me li guardo stupefatto uno dopo l’altro.

C’è una persona che restaura strumenti a fiato. Un’altra che riporta a nuova vita fotografie analogiche ormai sbiadite senza usare il digitale. Un altro artigiano produce penne stilografiche di una bellezza unica.

Alla fine mi rendo conto di avere speso quasi un’ora e mezza davanti a questi video ed è stato tempo speso bene.

Mi fa piacere sapere che esiste qualcuno che lascia ancora che siano le emozioni a guidare il suo lavoro e che tramite il suo lavoro è in grado di regalare emozioni ai suoi clienti.

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Disegno

Molto spesso decido di avventurarmi al di fuori di quella che viene generalmente chiamata la zona in cui mi sento confortevole.

Lo ho fatto facendo un corso di teatro, cercando di imparare a suonare il pianoforte o, in alternativa, con le piccole cose quotidiane con le quali non mi sento a mio agio. Una telefonata che non vorrei fare, un messaggio di posta elettronica che non vorrei scrivere e via dicendo.

Ho sempre trovato che sia un ottima maniera di esplorare terreni e spazi che non ci sono propri.

Il disegno è una di queste.

Ho sempre grandemente invidiato mio padre e la sua capacità di disegnare. Tra i tratti genetici che mi ha regalato quello del disegno non è passato. Eppure abbiamo esattamente la stessa calligrafia e quindi desumo che si tratti solo di imparare a farlo. Tra parentesi, avere avuto la sua stessa calligrafia e, di conseguenza, una firma molto simile mi ha molto aiutato negli anni di liceo a produrre in autonomia le necessarie giustificazioni per le mie assenze. Questa, però, è un’altra storia.

Ho deciso quindi di muovere qualche passo per imparare a disegnare. Mi sono iscritto a qualche corso online e ho cominciato a disegnare.

Mio padre ha sempre avuto un approccio “ingegneristico” al disegno. Tratti precisi e perfezione assoluta. Lo si vede molto bene dalla foto che si trova in cima a questo post. Quelli sono alcuni dei disegni che conservo gelosamente a casa mia.

La prima cosa che ho dovuto imparare è che la perfezione non è assolutamente necessaria. Il punto chiave è che basta avere un qualsiasi pezzo di carta, una matita ed una penna e decidersi a lasciare andare la mano senza grossi pensieri.

Nel caso del disegno non esiste bello o brutto. Esiste solo il disegno. Il problema personale è che si continua a temere il giudizio degli altri. Il fatto che qualcuno possa ridere di te e dei tuoi disegni è un freno enorme.

In realtà questo problema lo ho superato da tempo. Del giudizio degli altri mi interessa poco o nulla. Faccio e dico quello che voglio senza curarmi di quello che gli altri potrebbero pensare. Come ho scritto in passato, il numero di persone cui davvero interessa di te e di quello che fai si conta sulle dita di una mano.

Per questo ho cominciato a disegnare e sto riempiendo un taccuino dei miei disegni. Oramai lo faccio ogni giorno quando ho del tempo libero.

Lo trovo estremamente rilassate e ho trovato un nuova forma di espressione che mi soddisfa veramente molto.

Tutti abbiamo disegnato da bambini per raccontare il nostro mondo. Ad un certo punto abbiamo smesso di farlo. Generalmente questo avviene nel momento in cui impariamo a scrivere. Le parole scritte sono uno strumento più semplice per raccontare e raccontarsi.

Ricominciare a disegnare mi sta dando una nuova prospettiva e mi diverte un sacco.

Esame

Il mio figlio maggiore è stato costretto a saltare il primo esame faccia a faccia della sua vita per via del lockdown. Possiamo dire con certezza che non ne ha sofferto molto.

Durante l’ultimo anno aveva comunque deciso di sostenere la prova Cambridge English Preliminary (PET). Decisione presa d’impulso e senza considerare il fatto che avrebbe dovuto prepararsi durante l’estate per poterla affrontare con successo.

Lorenzo compirà quattordici anni a Dicembre e si trovai in quella fase in cui mostra l’arroganza tipica di quella età dietro la quale si nasconde una discreta dose di insicurezza e, in talune occasioni, di fifa nera.

Lui stesso ha realizzato che il PET sarebbe stato il suo primo esame condotto di fronte ai docenti e di questo era preoccupato. Se per il suo esame di terza media aveva uno schermo tra lui e la commissione di esame in questo caso avrebbe avuto al massimo una mascherina chirurgica.

Lo osservavo la sera prima e ho notato che la mattina dell’esame si è alzato alle sei del mattino per ripassare qualcosa che evidentemente lo preoccupava.

Lo ho accompagnato nel piazzale della scuola ma non lo ho accompagnato all’ingresso. Oramai queste cose le deve affrontare da solo. Lo ho visto entrare con la sua camminata che mi sembrava sicura.

L’esame in sé è piuttosto articolato e sostanzialmente si compone di due fasi: una orale ed una scritta. Quella orale è individuale mentre quella scritta è plenaria.

E’ uscito dalla prova orale soddisfatto. Mi ha detto che è riuscito a governare l’ansia (e quindi ce la aveva…) e che, secondo la sua opinione, la prova è andata molto bene. Tra me e me ho pensato che avesse superato la parte più complessa dell’esame. Quel confronto fisico che anche a me metteva un’ansia quasi paralizzante. Lui ci è riuscito.

La prova scritta ha seguito lo stesso copione ma con meno preoccupazione da parte sua. Prova ne è che quando è uscito ha esclamato: “La ho trovata più semplice di quanto mi aspettassi”. Gli ho risposto che il motivo era molto semplice da spiegare. Ti è sembrato semplice perché hai studiato.

Forse quello più in ansia, non tanto per l’esame di Inglese ma per il primo esame faccia a faccia, ero io. Per lui non credo abbia rappresentato un grande ostacolo.

Va bene così.

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La rivincita

Un tranquilla cittadina Gallese chiamata Aberhosan soffre di problemi di connettività di rete. Ogni mattinate dalle 7.00 del mattino in punto fino a tarda sera gli abitanti della cittadina non potevano accedere alla loro connessione Internet ADSL.

Inspiegabile.

L’internet provider ha passato mesi ad investigare il problema senza grandi risultati. In alcuni casi è arrivato addirittura a sostituire intere tratte di rame nel tentativo di venire a capo del problema.

Tutto questo senza ottenere alcun risultato.

L’unica alternativa è stata quella di chiamare il quartiere generale e mobilitare l’equivalente tecnologico di una squadra SWAT nel tentativo di identificare la causa primaria del disservizio.

La squadra arriva e dispiega tutta la tecnologia di cui dispone. Nulla di quello che provano sembra dare una idea di quello che accade sino al momento in cui non si decide di utilizzare un analizzatore di spetto per verificare se esista un qualche genere di interferenza radio che possa interferire con gli apparecchi di rete.

Miracolo! Si scopre che dalle 7.00 del mattino, e sino a sera, c’è un segnale che sembra essere la causa del problema. Ci si domanda chi, o cosa, possa essere la causa del segnale. Qualcuno che fa esperimenti radio? Una trasmissione clandestina? Un apparato difettoso?

Essendo un segnale radio è piuttosto semplice identificarne la posizione facendo uso della potenza del segnale ricevuto. Questa analisi porta ad una casa privata e si scopre che la fonte del segnale è un vecchio televisore a tubo catodico. Il proprietario lo accende ogni mattina alle 7.00 del mattino e lo spegna nel momento in cui decide di andare a dormire.

E quindi un vecchio apparato è in grado di mettere in difficoltà una quantità enorme di nuova e potente tecnologia.

A me questa cosa piace da impazzire. E’ la vendetta del vecchio sul nuovo.

Semplicemente fantastico!

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Gli uomini e gli algoritmi

Uno strano fenomeno si sta manifestando in prossimità dei magazzini di Amazon e i negozi Whole Foods a Chicago. Ci sono dei telefoni cellulari che sono appesi ai rami degli alberi che crescono in prossimità di queste due entità.

A quanto pare si tratta di telefoni cellulari di persone che fanno consegne a domicilio per conto di Amazon e Whole Foods. Sì. ma perché appesi agli alberi? Alla fine la risposta è semplice. Gli algoritmi di Amazon tendono ad ottimizzare la consegna dei prodotti in modo che questa sia la più veloce possibile. Avere il telefono in prossimità dei magazzini inganna l’algoritmo offrendo un vantaggio competitivo rispetto al resto degli operatori.

Un caso in cui l’algoritmo viene sconfitto dall’essere umano.

Questa cosa tutto sommato è una cosa positiva. Sembrerebbe che gli essere umani siano ancora un passo avanti rispetto alle macchine ed agli algoritmi che le governano.

Nonostante questo c’è un elemento che dovrebbe farci riflettere. Questi operatori non hanno un regolare contratto con Amazon ma si tratta di operatori che si muovono in quella che si chiama gig economy. Sostanzialmente non vieni pagato con del denaro per offrire il tuo lavoro durante un arco di tempo definito ma viene pagato una certa quantità di denaro per ogni singola operazione che compi, in questo caso la consegna di un prodotto.

Se nel mercato c’è sovrabbondanza di richiesta di lavoro ed allo stesso tempo l’economia non offre soluzioni migliori si scatena una guerra senza confini per ottenere il maggior numero di ingaggi possibili. Questo è quello che si crede stia accadendo a Chicago e si tratta di una cosa ben triste. E’ abbastanza evidente che ci sia una concorrenza feroce.

E’ chiaro che questo è un tema che andrebbe affrontato da Amazon e da Whole Foods perché non mette tutti i lavoratori in una posizione competitiva equa. Sembra che nessuno dei due giganti stia attivamente facendo qualcosa a riguardo. Comprensibile, sebbene riprovevole. In fondo questo trucco non ha impatto sul loro modello di business. L’esigenza primaria che essi devono indirizzare è quella della consegna del prodotto ed è evidente che questa viene soddisfatta.

Io penso che qualsiasi modello di business e qualsiasi tecnologia che si ribalta sulla vita delle persone dovrebbe essere sottoposta ad una decisa critica morale ed etica. In questo modo si stanno scatenando una quantità enorme di guerre tra persone in difficoltà che spesso non hanno la massa critica per ribellarsi contro il sopruso che stanno subendo.

E, per la cronaca, ecco un altro pessimo esempio di gig economy: The gig economy has come for eviction enforcement.

Fate un pochino voi…

Dovremmo pensarci.

Photo by Wicked Monday on Unsplash

P.S. Non sono contrario a prescindere alla gig economy.