Lavoro dal giardino

In questi mesi in cui tutti siamo stati costretti a lavorare dal proprio domicilio non avrei mai pensato che quel piccolo fazzoletto di terra che è il mio giardino potesse giocare un ruolo così importante.

Nonostante abbia tutta la casa per me sarebbe stato più difficile rimanerci se non avessi avuto questo poco verde in cui posso rifugiarmi quando voglio sfuggire dal contorno delle mura di casa.

E’ così mi ritrovo a svolgere la quasi totalità della mia giornata lavorativa con le gambe sul tavolo da giardino, il mio portatile sulle ginocchia e le cuffie perennemente in testa.

In un certo qual modo riesco a concentrarmi di più se sono circondato da un qualche tipo di rumore.

Quando sono in giardino, specialmente in questo inizio di estate, sono circondato dal frinire delle cicale. E’ costante nel suo ritmo e potremmo quasi dire che assomiglia ad un rumore bianco. Dai, lo so che non è vero, però questo suono costante mi aiuta a concentrami.

E poi c’è il rumore delle onde del lago che si sente meno ma che è sempre presente. In parallelo, specialmente la mattina presto c’è il cinguettio degli uccellini ed anche questo aiuta a ritrovarsi circondato da una pace impagabile.

E poi ci sono i profumi. Da quando ho cominciato a coltivare il mio orto la sedia che utilizzo di solito è molto vicina a tutte le piante aromatiche ho piantato. In alcuni momenti sento arrivare il profumo della menta. In altri è la salvia che fa capolino. E’ piacevole.

Mi rendo perfettamente conto di avere una grande fortuna a potere lavorare da questo posto.

Sono un ignorante

e c’è davvero un sacco di gente che intende aiutarmi.

Sono continuamente bersagliato da offerte di corsi, training, webinar, lecture, percorsi di studio sui più disparati argomenti.

Mi rendo davvero conto di non sapere nulla su moltissime cose e dire che per alcune di queste vengo anche profumatamente remunerato. Mi auguro davvero che queste mie deficienza non vengano smascherate o non saprei più davvero cosa fare della mia vita professionale.

Mi sorprende l’elevatissimo numero di persone che ne sanno più di me e su qualsiasi argomento io possa immaginare. Dalla filatura della lana al lancio di navi spaziali.

Mi urta anche notare che tutti coloro che mi offrono il loro sapere sono giovanissimi. Ma come cavolo avete fatto a raggiungere questi livelli in così poco tempo. Sono davvero stupefatto e decisamente invidioso.

Io a cinquantatré anni mi limito ad un sorriso imbarazzato e a dire “So di non sapere.”

Mi stupisce il fatto che posso ottenere tutto questo sapere in pochissimo tempo. Venti ore di video e posso diventare un novello Leonardo da Vinci. Quindici ore di podcast e sarò meglio di Seth Godin. E’ incredibile. Mi vergono di avere passato così tanto tempo sui libri per imparare così poco.

E tutto questo per pochi spiccioli. 19.99 Euro per diventare un chitarrista migliore di Brian May. 24.00 Euro per diventare un Data Scientist. 39.99 Euro per diventare un hacker come Kevin Mitnick. Stupefacente.

Dai, basta con lo scherzo. Tutto questo è imbarazzante e sopratutto mancano gli strumenti per capire che è una grandissima fregatura. Non discuto che esistano offerte formative degne di questo nome e dai fantastici contenuti ma fate attenzione. L’oro degli stolti è sempre sul mercato.

Per coloro che queste offerte le creano una sola osservazione: vergogna.

Tutto può essere una avventura

Scrivevo ieri dei miei safari antropologici al supermercato. E’ solo un esempio di come qualsiasi evento nella nostra vita quotidiana possa essere trasformato in una avventura.

Non è necessario spingersi alle falde del Kilimangiaro per vivere una avventura ai nostri tempi. Anzi, al contrario. Mai come in questi tempi abbiamo la possibilità di vivere esperienze straordinarie in ogni momento della nostra giornata.

Certo, non è facile ma le soddisfazioni sono tante.

La prima cosa che devi fare è cercare di leggere in maniera attiva ciò che ti circonda. Esserne pienamente consapevole. Osservare attivamente il contesto e farti una tua, personale, idea di ciò che ti circonda da un lato, e di quello che ti sta accadendo dall’alto.

Osservare le persone, i luoghi. Ascoltare i dialoghi e le conversazioni tra le persone. Immagazzinare gli elementi che ti permettano di costruire la tua storia, la tua interpretazione del momento.

Questo ci induce a vivere in maniera attiva il momento. Trasformare la quotidianità in eccezionalità continua. Cambiare continuamente e non farsi sopraffare dalle abitudini. E anche se abitudini ci sono, introdurre in queste degli elementi di novità in ogni singola occasione. Nel tragitto tra casa e ufficio introdurre piccole variazioni di percorso. Comprare un altro giornale perché una parola di un titolo di colpisce. Cambiare la marca del caffè che bevi la mattina. Salutare le persone sempre in modo diverso. Fare un complimento inaspettato. Le possibilità sono infinite.

E poi inventarsi delle storie, anche fantastiche.

Per me l’uomo anziano al bar è ora un colonnello dell’esercito a riposo che ha lavorato per i servizi e che ora, defilato, si gode il suo ritiro dalle scene. Ogni volta che lo incontro aggiungo un pezzetto a questa storia e mi sembra di essere dentro un romanzo di avventura.

Queste costruzioni fantastiche mi aiutano ad immaginare le soluzioni ai problemi che nel mio lavoro i clienti ci presentano. Ho un arsenale immaginifico così capiente che potrei smettere di pensare per anni.

Ogni giornata è diversa e densa. E così deve essere.

Supermarket safari

Andare al supermercato è come immergersi in una ricerca etnografica. A me che piace osservare il comportamento delle persone, forse come forma di deformazione professionale, muovermi tra le scansie genera sempre un grande piacere.

Una delle zone dalle quali puoi trarre infinite soddisfazioni è il reparto dove puoi acquistare frutta e verdura. Qui puoi imparare le più disparate tecniche di selezione della frutta e della verdura migliori. Abbiamo il testatore seriale, molto spesso non dotato di guanto di ordinanza, che tasta ogni singolo frutto esposto alla ricerca dei due migliori da mettere nel sacchetto. Affine al tastatore seriale abbiamo l’annusatore compulsivo. Questi non può fare a meno di portare verso le sue narici ogni singolo prodotto prima di pesarlo.

Ci sono i valutatori cromatici che andrebbero decisamente essere assunti dalla Pantone LLC perché sanno riconoscere ogni sfumatura di colore e da queste comprendere la qualità e maturità del prodotto.

La zona bilancia è altrettanto divertente.

Senza alcuna differenza di età ci sono coloro che si ritrovano le mani imprigionate da tre o quattro etichette adesive. Ci sono i furbetti che sollevano il sacchetto mentre pesano scroccando qualche decina di centesimi di prodotto al retailer. C’è sempre quello che non si fida della bilancia elettronica e pesa ogni singolo prodotto tre volte.

Ci si sposta quindi nelle altre scansie. Qui troviamo sempre il valutatore totale. Il valutatore totale legge ogni singola etichetta dei prodotti esposti della stessa categoria. Ne legge la composizione, il peso ed il prezzo al chilo. Lui è furbo! Non guarda il prezzo esposto ma il prezzo al chilo. Lui mica lo fregano. Non è raro che il valutatore totale esprima i suoi giudizi a voce alta e non lesina consigli se qualcuno gli capita a tiro.

Ci sono le coppie, e queste sono uno spettacolo imperdibile. Secondo il costume diffuso al supermercato è la componente femminile che domina il processo. I compagni sono spaesati all’interno di questi ambienti che loro reputano ostili. Sanno benissimo che uscire di lì indenni è difficilissimo e che se sbagli qualcosa è molto probabile che la lite continui prima in macchina e poi a casa. Sanno benissimo che le loro possibilità di intrattenere rapporti di amorosi sensi nel classico sabato sera diminuiscono drasticamente in caso di conflitto. Per questa ragione nicchiano, accettano qualsiasi umiliazione ed ordine perentorio senza battere ciglio.

Nella migliore delle ipotesi cercano salvezza nello schermo del loro smartphone.

Altra categoria interessante è quella di madre con figli. Figli generalmente al di fuori di qualsiasi possibile controllo. Il supermercato è un luogo fatto al 10% di cibo più o meno sano ed al 90% di porcherie inenarrabili. Queste ultime sono irresistibili per i figli. Le più disparate tecniche vengono utilizzate per riuscire a portarsi a casa la propria dose di cibo spazzatura. Ci sono ovviamente i genitori che non sono in grado di imporre alcuna restrizione ai propri figli e quindi vedi il carrello stracolmo di porcherie. Ci sono i genitori che perentoriamente negano qualsiasi acquisto e generano lacrime e pianti strazianti nemmeno si trovassero ad essere torturati dal dottor Mengele. Non è raro vedere questi esserini in lacrime venire trascinati urlanti come sacchi di patate. C’è poi il bambino sveglio che nasconde le porcherie sotto il pane integrale e sposta il confronto col la madre al momento in cui raggiungono la cassa. Questa è una strategia spesso vincente perché l’80% dei genitori non ha alcun interesse a scontarsi con il proprio figlio davanti ad un estraneo e quindi il ragazzino riesce a portarsi a casa la sua porcheria. Dovrà solo scontare qualche reprimenda nel tragitto supermercato/casa ma la battaglia è vinta.

Le varie zone in cui si raggruppano i cibi BIO o naturali sono altrettanto interessanti. Novelli figlio dei fiori, vegetariani e vegani si ritrovano in queste isole felici e si riconoscono. Annuiscono con la testa guardando i propri simili come se dicessero: “Si, sono dei vostri!”. Variante di questo genere ò la ventenne filiforme in dieta perenne. Oramai sono dieci anni che si nutre a tofu e di qualsiasi altra cosa che sia brandizzata con il termine light. L’ultima volta che ha mangiato un piatto degno di questo nome è stato al pranzo della sua cresima.

Io credo che se lavorassi ai banchi della gastronomia e della salumeria avrei già commesso un numero di omicidi sufficienti a garantirmi la pensa di morte, se questa fosse contemplata dal nostro codice penale. Il marito inviato in missione. A questo povero personaggio viene chiesto di procurarsi del prosciutto cotto ma di fronte alle scelte che gli vengono offerte non riesce ad orientarsi e chiede l’aiuto da casa. Chiama al cellulare la moglie chiedendo lumi e, ovviamente, venendo razziato. Il precisino che vuole il prosciutto crudo tagliato fine ma, mi raccomando, al massimo 550 micron di spessore. La signora che si fa elencare le proprietà organolettiche di ogni singolo prodotto in esposizione. Il vecchietto che alla gastronomia compra del roastbeef ma che mia moglie mica lo fa così.

Nella zone in cui si comprano i vini tutti sono dei sommelier. Leggono le etichette, soppesano la bottiglia e la osservano come se stesse concorrendo per il Compasso d’Oro. Alla fine nessuno confessa che la scelta è pseudo casuale e guidata dal prezzo. Però fa figo fare finta di saperne qualcosa.

Eh sì, questa mattina sono stato al supermercato.

Un uomo anziano al bar

Ogni mattina salgo in moto per andare al bar a fare colazione. Oramai il personale del bar mi conosce bene e quindi vengo sempre accolto con il classico “Il solito?”.

In genere arrivo al bar alle 8.15, giusto il tempo di fare colazione prima del mio stand up meeting delle 8.45.

Ogni mattina arrivo davanti al bar, parcheggio la mia moto. Mi tolgo guanti e casco e prima di entrare al bar mi fumo una sigaretta a cavalcioni della mia motocicletta.

Ogni giorno, alla stessa ora, vedo arrivare un uomo anziano, direi oltre la settantina. Veste sempre in maniera molto dimessa ma sempre di blu scuro. Non un vestito ma un mise più sportiva. Ha sempre un borsello a tracolla.

Ogni mattina si ferma davanti all’ingresso, apre il suo borsello ed estrae un pacchetto di sigarette. Lentamente ne estrae una e la fuma guardano il traffico che passa.

Ci perdiamo sempre di vista per poi incontrarci nuovamente all’interno. Molto spesso lo vedo armeggiare con dei gratta e vinci. Invariabilmente, ogni giorno. In qualche occasione mi sono fermato ad osservarlo. Sul suo volto di legge la delusione del risultato o, molto più raramente, la gioia di una vincita.

Non lo ho mai visto bere il caffè o fare altro che non sia quello che ho raccontato.

Deve vivere vicino perché spesso si ferma a chiacchierare con altre persone.

Forse dovrei cominciare a salutarlo visto che ci incrociamo ogni mattina.

Io corro la mattina

Da più di un anno a questa parte la mia sveglia suona alle cinque del mattino. Oramai non suona nemmeno più perché generalmente mi sveglio da solo prima che questa suoni.

Il mio sistema di home automation mi fa trovare il caffè pronto non appena scendo in cucina e, dopo averlo bevuto, mi metto pantaloncini, maglietta e scarpe e vado a correre i miei soliti sei chilometri lungo la riva del lago.

Lo ho fatto anche questa mattina. L’aria era pungente ed il sole non era ancora sorto da dietro le montagne davanti a casa mia. Le acque del lago sono tranquille, in cielo non c’è una nuvola e sono circondato da un silenzio assordante.

Mi metto le cuffie e faccio partire uno dei miei podcast preferiti. Generalmente non mi piace moltissimo correre con la musica. Preferisco ascoltare i podcast che mi interessano immergendomi in essi e nel ritmo della corsa.

Mi piace correre guardandomi intorno ed ogni mattina scopro qualche particolare nuovo del tragitto che usualmente faccio. Un particolare di una finestra, il decoro di una ringhiera, la fioritura di una pianta quando è stagione.

In fondo ogni corsa è una scoperta continua di qualcosa di nuovo. Una attenzione ai particolari ed al fatto che tutto cambia, giorno dopo giorno.

πάντα ῥεῖ diceva Platone citando, probabilmente, Eraclito.

E’ vero. Quella è la natura di tutte le cose e ogni mattina con questa corsa me ne rendo perfettamente conto e mi rincuoro. Tutto è passeggero, niente è per sempre.

Corro sentendo l’aria fresca sul volto e non ho bisogno di esagerare. Ho il mio ritmo e la mia distanza. Non ho intenzione di correre per migliorare i miei tempi o prepararmi per chissà quale gara. Voglio solo godermi il momento.

Pubblico raramente cose sulla mia corsa. Non mi interessa fare show off o mostrare quanto sono stato bravo nel fare i miei sei chilometri. Non che abbia nulla in contrario verso chi lo fa. Ognuno ha le sue motivazioni ed io le rispetto.

A me interessa solo farlo. Ogni mattina.

Rientrare a casa e buttarmi sotto la doccia pronto per affrontare la giornata consapevole del fatto di avere già portato a compimento qualcosa di compiuto e di fisico.

Questa corsa mattutina mi prepara alla giornata e la rende, in un certo qual modo, più semplice da affrontare.

No, dai, Amazon

Sono un affezionatissimo cliente di Amazon per il mio Kindle.

Più o meno il mio ritmo è di 1,3 libri a settimana. Quando ne ho finito uno in genere mi faccio un giro nello store online direttamente dal mio Kindle Oasis e acquisto la mia lettura successiva.

Ultimamente, ma neanche troppo, noto questo trend su Amazon. Uno degli scrittori cui sono affezionato sembra pubblicare un nuovo titolo. Clicco immediatamente sul titolo e qui arriva la sorpresa.

“Il libro verrà pubblicato il 1 Settembre 2020. Prenota”

Ma che cavolo. Proprio no!

Ovviamente mi girano immediatamente le scatole e non prenoto affatto. Io se vado in libreria e vedo un libro sullo scaffale lo prendo, lo porto alla casa, lo pago e me lo porto a casa.

Questo è il comportamento che mi aspetto da uno store di e-book online.

Non puoi creare l’aspettativa di avere a portata di mano delle parole nuove di uno dei miei autori preferiti e poi farmi questo scherzo.

Purtroppo succede sempre più spesso e me ne dispiaccio molto.

E se poi l’autore non lo pubblica? Se muore di infarto mentre si sta già godendo i quattrini che gli ho dato? Se il Kindle store scompare nell’abisso? Cosa succederebbe?

Di forum e commenti

Come chi di voi mi segue da qualche tempo sa, io coltivo una grande quantità di passioni più o meno accese. La rasatura tradizionale, la tecnologia, la musica, la lettura, la motocicletta, la magia e tante, tante altre.

Come tutti cerco di informarmi di quello che accade nell’universo di quelle passioni. Mi sono iscritto a forum online, a pagine Facebook, seguo attivamente diversi blog di settore e comunità su Reddit.

Fino a qualche tempo fa ero piuttosto attivo nelle conversazioni.

Da circa sei mesi ho smesso completamente di commentare e di partecipare attivamente a questi gruppi. Come si dice in gergo, mi limito ad essere un lurker.

Come considerazione più generale ho smesso di commentare qualsiasi cosa online, se non i post di persone che reputo all’altezza delle affermazioni che fanno.

Se è vero che uno dei problemi dei social media è quello dell’odio “a prescindere” io trovo che ci sia un altro fenomeno assolutamente rilevante.

La gente non ha alcuno desiderio di confrontarsi in maniera costruttiva su qualsiasi argomento. Nessuno è disposto a cambiare idea o posizione e tutti si ritengono i massimi esperti della materia, sempre. La maggior parte delle persone è assolutamente scevra di qualsiasi forma di umiltà. Leggere “Ho sbagliato” e equivale a vedere un unicorno nel bosco.

Io, personalmente, non ho nessun problema ad ammettere che ho sbagliato. Mi è capitato di farlo anche davanti a clienti importanti e, quindi, in ambito professionale. Ricordo che durante la presentazione ad un direttore marketing di una delle più grandi aziende di credito Italiane stavo dicendo una cazzata colossale. Fui interrotto da una delle mie persone e, dopo la sua spiegazione, ammisi candidamente di avere commesso un errore. Finita lì. Non è che se sei il General Manager non dirai mai una cazzata.

Se questo è vero in ambito professionale, tanto più facile dovrebbe esserlo per cose che non sono vitali e che dovrebbero rappresentare per tutti un momento piacevole e di confronto.

Si deve avere la misura della importanza relativa di quello di cui si sta discutendo. Se leggo un post sulla affilatura di un rasoio a mano libera e vedo la gente prendersi per i capelli riguardo la migliore pietra e la migliore procedura da utilizzare a me viene da sorridere. Bisognerebbe ricordarsi che stiamo sempre parlando di acciaio che viene sfregato su un sasso. Tutto lì.

Non stiamo parlando della cura per il cancro.

In un mondo in cui tutti oramai vogliono vendermi qualcosa ed in cui tutti si ritengono guru di un qualsiasi argomento, modestia ed umiltà sono gli strumenti che ti salvano la vita.

Anche un pochino di sana indifferenza non guasta.

Allo sportello

Venerdì pomeriggio mi chiama la mia assicurazione dicendomi che la quietanza del mio sinistro di Novembre 2019 è disponibile in agenzia. Mi viene un pochino da sorridere perché se mi dici che è disponibile in agenzia questo significa che è qualcosa di fisico.

Ed infatti lo è: è un assegno a me intestato.

Non esiste altra soluzione che prendere la macchina, farsi una novantina di chilometri per andarlo a prendere, andare in banca a versarlo, e farsi serenamente il viaggio di ritorno. Tre ore di tempo perso. Alla faccia della Digital Transformation.

Vado a riprendere il tanto atteso assegno e poi mi sposto per andare in banca. Credo che siano almeno cinque anni che non metto piede fisicamente in quella banca.

Infatti arrivo sul luogo dove mi ricordavo che fosse lo sportello della mia banca e mi ritrovo nella scena del film “Il marchese Del Grillo” dove, in via dei banchi vecchi, al banco del malcapitato viene sostituito un orinatoio.

“Eppure era qui!” diceva il poveretto.

Io ho fatto la stessa cosa trovando al posto della sede della banca un negozio WheelUp.

Ok, cerco su internet dove hanno messo la nuova sede e scopro che si trova a cinque chilometri di distanza, in un altro comune. Salgo in macchina e ci vado.

Arrivo intorno alle 9.30 ma la filiale non apre sino alle 10.00 perché pare che qualche sera prima abbiano fatto saltare in aria il Bancomat e quindi la filiale non apre prima di quell’ora “per via delle indagini delle forze di pubblica sicurezza”.

Non sono l’unico ad avere questa sorpresa. Fuori dalla filiale si forma la classica coda Italiana, disordinata, chiassosa e con un concetto del diritto di precedenza piuttosto dubbio. “Ho i miei figli a casa da soli”, “devo dare da mangiare al gatto”, “ho la macchina in doppia fila”.

Aspetto diligentemente il mio turno.

Si entra due alla volta. Uno raggiunge lo sportello e l’altro si tiene a debita distanza per via della privacy, ed ora anche per via del distanziamento sociale. Per entrare devi compilare un modulo dove attesti di non essere contagioso, di non avere la febbre o sintomi influenzali e di volere molto bene alla tua mamma. Tutto questo senza gel igienizzante vicino alla pila di moduli e con una penna condivisa. Bene, uso la mia penna ed il mio gel prima e dopo.

Lo spazio interno della banca è molto ampio ma è assolutamente vuoto. C’è una persona seduta ad un tavolo con sopra scritto “Clienti Privati” ed una sola persona allo sportello. La persona allo sportello si deve occupare di gestire il cliente che ha davanti, gestire le persone che continuano a citofonare per chiedere la qualunque e gestire l’apertura e la chiusura delle porte di sicurezza.

Per quanto uno possa essere ferrato in tema di multitasking questa non è certamente la situazione ideale tanto che, io sono il secondo cliente della giornata, la signora ha già sbarellato dopo il primo cliente.

Verso il mio assegno e devo apporre due firme digitali. Niente da fare, il tablet dedicato alla firma digitale non ne vuole sapere di chiacchierare con il computer a cui è collegato per cui di procede con la casa vecchia carta.

Ora ricordo benissimo perché ho smesso di andare allo sportello.

E’ abbastanza ovvio che tutto questo si sarebbe potuto evitare disegnando un customer journey degno di questo nome a partire dalla assicurazione della controparte.

Rimane sempre una area grigia su cui nessuno investe. I momenti di handover tra un servizio e l’altro. Questa è una questione pelosissima perché da un lato è uno snodo fondamenta della esperienza utente e dall’altro si trova in una zona di confine in cui non è chiaro chi ci debba mettere le risorse per farla funzionare.

Benvenuta trasformazione digitale.

5/89

Sono passati 31 anni da quando varcai la soglia della Caserma Camandone a Diano Marina per adempiere al mio servizio militare.

Dovevo spenderci una trentina di giorni per poi essere spedito a Vercelli ed invece ci rimasi per un anno intero.

Molti chiamavano la caserma Albergo Camandone per via del luogo in cui si trovava e per il trattamento che riservava ai suoi residenti fissi. Sì, perché era un Centro Addestramento Reclute, altrimenti detto CAR ed ogni mese arrivavamo circa 1300 giovani che ricevevano il loro primo addestramento prima di essere spostati verso la destinazione definitiva.

Ero appena uscito dall’università e quindi non avevo diciotto anni come la maggior parte di quei giovani. Questo rendeva tutto più facile. Affrontavi la cosa con un’altra maturità e ne subivi meno i limiti.

Se dal lato paterno provengo da una famiglia di ingegneri, dal lato materno provengo da una famiglia di militari di carriera. Molti di loro con grado elevato nell’esercito e nei carabinieri ed alcuni di loro coinvolti in vicende serie che hanno riguardato l’esercito.

Avrei potuto chiedere di essere aiutato ad entrare negli Allievi Ufficiali di Complemento ma non lo feci. Che andasse come doveva andare, come tutti i ragazzi come. Non fu una cattiva scelta.

Molti hanno ritenuto quell’anno un anno perduto prima di iniziare una carriera. Se da un lato arrivai in caserma con quella idea, dall’altro dovetti ricredermi. Credo che sia stato uno dei passaggi fondamentali che mi ha reso quello che sono oggi. E questo non perché abbia imparato la disciplina o la capacità di obbedire a degli ordini. Niente affatto. Chi mi conosce sa bene che ho una naturale avversione verso l’autorità.

E’ stato utile perché mi ha fatto conoscere il paese reale in una età in cui non è facile rendersi conto della realtà. Ogni mese compilavamo le statistiche per il Ministero della Difesa e ti rendevi conto della fortuna che avevi avuto a potere studiare. I laureati erano meno del 4%, i diplomati stavano sotto il 10%, c’erano molti analfabeti e la maggior parte con un diploma di scuola media. Questa era la realtà. Tutte le persone che incontravi in aula in università erano una modestissima percentuale del totale dei ragazzi in quell’intorno di età.

Ogni mese all’arrivo dello scaglio si procedeva all’incorporamento. Ero un furiere e me ne occupavo. Scoprivi che c’erano persone che a diciotto anni erano saliti per la prima volta in treno, persone che non erano in grado di parlare in Italiano ma solo in dialetto, altre che non si erano mai allontanate dal paese nel quale erano nati. Fu un bagno di realtà ed in seguito mi ha aiutato molto a cercare di capire le persone che avevo di fronte.

E’ stato un anno sotto certi versi surreale. Il mondo militare ha proprie regole e molte di queste risalgono a decenni addietro. Il linguaggio che si doveva usare nelle comunicazioni era vetusto, ti trovavi a fare delle cose assolutamente insensate e spesso ti scontravi con un meccanismo che poco aveva di affine con il mondo da cui provenivi.

Sono centinaia gli aneddoti che potrei raccontare di quell’anno. Non passava giorno che non accadesse qualcosa di ridicolo o di drammatico.

Ricordo i pianti dei ragazzini che non riuscivano a stare lontani dalla famiglia o dalla fidanzata. Le code alle cabine del telefono con sacchetti pieni di gettoni telefonici. Le persone sedute sui gradini a scrivere lettere. Le simulazioni di coloro che tentavano di farsi inviare in ospedale militare auspicando di venire riformati. Surreale. Molto.

E quindi ti ritrovavi a parlare con un ragazzino barese che sentiva la mancanza della famiglia e te lo portavi appresso a cena per fargli un po’ di compagnia. Quel tipo di Ferrara che voleva scappare per raggiungere la ragazza. Ho decine di queste storie e ogni volta che ci penso mi viene da sorridere.

Ricordo i drammi delle persone che per una qualche mancanza venivano punite e quindi non potevano godere della libera uscita per qualche giorno. Capitava, spesso, anche a me e non ne facevo certo un dramma. Bastava sdraiarsi sulla branda con un buon libro ed il gioco era fatto. Come dicevo, altra età.

Ci furono grandi amicizie che resistono al tempo e che frequento con grandissimo piacere e grande stima anche oggi. Ho conosciuto persone di valore.

Mi ricordo il mio capitano, il Capitano Giuseppe Criscuolo, animo nobile e bravissima persona e con una indole artistica. Anche quello fu una conoscenza importante. Mi aiutò molto nel mio lavoro ed ancora oggi gli sono grato. Ci teneva, come pochi altri in quell’ambiente.

Si potrebbero scrivere pagine e pagine di quell’anno ripescando nei ricordi e nei volti delle persone che ho incontrato.

Come in qualsiasi gruppo sociale sufficientemente vasto ho incontrato persone di valore e persone di una stupidità assoluta.

Potremmo dire che è stato un anno sabbatico. Spesso ci ripenso con nostalgia. Credo che sia stato uno degli anni più leggeri che io abbia mai trascorso.

Credo che se fosse possibile, lo rifarei senza esitazione.

12 anni

Esattamente dodici anni fa nasceva mia figlia Beatrice.

Beatrice è sempre stata una donna che ha fretta. Ricordo molto bene quel giorno. Mi trovavo nel mio ufficio a Trezzano sul Naviglio e la data di termine della gravidanza non era vicina.

Ricevo una telefonata da mia suocera che mi avvisa del fatto che lei e mia moglie stanno correndo in ospedale perché si sono rotte le acque e sono cominciate le contrazioni.

Ricordo di avere mollata tutto e sono saltato in macchina. Credo che nella mezz’ora che ho impiegato per spostarmi dalla sede di H3G alla clinica Mangiagalli avrebbero potuto ritirarmi la patente almeno tre volte.

Salgo di corsa in corsia e chiedo alla caposala dove si trova mia moglie. Lei mi guarda con uno sguardo pieno di rimprovero e mi dice: “Siete sempre in ritardo. Sua figlia è nata dieci minuti fa!”

Mi sono innamorato di lei non appena la ho vista. Quegli occhi scuri ed i capelli che già avevano il colore di oggi mi hanno stregato all’istante. La ho presa tra le mie braccia ed anche ora che scrivo queste righe mi sembra di ricordare il .. profumo.

La ho vista crescere in questi anni. Sono stati anni meravigliosi e sono molto fiero di lei. Oltre che sempre di fretta è sempre stata una donna decisa, fin troppo. Il suo carattere è forte, in alcuni momenti sin troppo duro con sé stessa e con gli altri.

Fin da piccola è stata così. Come quella volta all’asilo dove ha mandato a stendere il tuo fidanzatino che era ritornato da lei dopo averla lasciata per una sua compagna, secondo lui, più bella.

La ragazza è sveglia. Aveva più di cinque anni e ci trovavamo nella mia auto. Lei mi chiese se uno più uno faceva due. Confermai. Subito dopo mi chiese se due più uno faceva tre. Io le risposi ancora una volta di sì. Rimase in silenzio per alcuni secondi e poi disse: “Papà ma se ad ogni numero posso aggiungere uno allora i numeri non finisco mai!”. Rimasi di sasso e, passato lo stupore, sorrisi.

E’ caparbia la ragazza. Ovviamente per ciò che le interessa e non per quello che interessa a noi genitori. A me questo tratto piace sin troppo.

Beatrice, se ne ha bisogno, sa essere feroce. Una volta mi disse che con le parole si può fare molto male e che lei ne è capace. Le dissi che è vero, ma che è altrettanto vero che con le parole si può fare del bene. Rimase perplessa, ma credo che capì quello che le stavo dicendo.

La mia ragazza ha la scorza veramente coriacea. Quando era piccina si è alzata di notte durante una vista a nostra suocera, è inciampata in un gradino e ha sbattuto violentemente il mento. Sangue ovunque e corsa al pronto soccorso. Non ha battuto ciglio e non ha versato una lacrima. Al contrario, si è lamentata perché non poteva vedere quello che stava facendo il chirurgo con il suo mento.

Se si riesce a superare la sua superficiale durezza si trova un cuore buono e un animo gentile.

Questi dodici hanno sono trascorsi come un battito d’ali. Non so se come padre ho fatto un buon lavoro. Sappi che non c’è stato un solo momento nel quale per te non ho dato il massimo.

Sei nata il 4 Luglio, ed un pochino porti dentro di te il significato di questa data.

Ragazza mia, buon compleanno! Ti auguro che la vita ti sorrida come tu fai ogni singolo giorno.

Tuning

Da quando ho portato a casa la tanto desiderata motocicletta ho deciso di fare qualche piccola modifica per renderla, a me, più appetibile.

Alcune cose standard non mi piaccio molto e dato che comunque è già di per sé un vero gioiello, perché non renderla esteticamente perfetta?

Chi è stato possessore di una motocicletta Harley Davidson ha probabilmente messo le mani sul catalogo delle parti custom che si possono acquistare. E’ un librone tipo elenco del telefono dal quale puoi attingere ad una infinità di parti di ricambio. Ci si può perdere nel customizzare la propria motocicletta e si possono spendere cifre folli per farlo.

Allo stesso tempo ache l’aftermarket è pieno di azienda che producono parti speciali per le moto Harley Davidson. Ce ne è davvero per tutti i gusti.

Torniamo a noi.

La prima cosa che ho fatto è stata cambiare le manopole. Le manopole di plastica di serie sono orribili e dato che la moto non è nuova mostravano decisamente i segni del tempo.

Memore del passato è stato inevitabile andare a dare una occhiata alle offerte di Kuryakyn. Alla fine la scelta è caduta su queste:

Spettacolari davvero. Ovviamente le ho montate da solo.

Ho montato un accessorio per bloccare il caso alla moto. Fondamentale. Non so mai dove metterlo e mi infastidisce girare con quel peso.

A questo punto ho deciso di usare il mio smartphone come navigatore e quindi ho cercato qualcosa che fosse bello, funzionale e, sopratutto, che avesse integrato un caricabatterie. In giro ci sono un sacco di cose, alcune belle ed altre meno belle. Poi la sorpresa. Quadlock rilascia un cradle e caricabatterie wireless per iPhone: questo. Installato in quindici minuti con un pochino di lavoro di montaggio e smontaggio. Funziona estremamente bene e la qualità di produzione è altissima. Decisamente consigliato!

Ho deciso di cambiare il tachimetro con qualcosa di più evoluto. Mi sono fissato a volere fare io il lavoro e quindi lo ordino da internet da un sito molto conosciuto e molto affidabile: Thunderbike.

Alla fine scelgo un grande classico:

Dopo qualche giorno il corriere me lo consegna e, terminata la giornata di lavoro, corro in garage ad installarlo. Grandissima delusione: non si accende. Nei prossimi giorni verificheremo la qualità del servizio di assistenza di Thunderbike.

L’ultima cosa che vorrei fare è cambiare la sella. Sto ancora decidendo cosa metterci.

Come ho già scritto sono interventi che ho fatto da solo. Non hanno grande impatto sulla meccanica della motocicletta e quindi non ho avuto modo di fare danni irreparabili occupandomene.

Ho provato comunque grande soddisfazione nel portare a termine queste modifiche in completa autonomia. Prendersi cura della propria motocicletta ti restituisce davvero delle grandi soddisfazioni.

Ho un video compromettente…

Nelle ultime settimane, probabilmente complice questo periodo di lavoro da casa, mi ritrovo a riceve degli strani messaggi. In fin dei conti tanto strani non sono dato che sono vecchi come il cucco ed il meccanismo è molto chiaro da tempo.

Su Instagram, LinkedIn, Twitter e, naturalmente, la posta elettronica si ricevono dei messaggi il cui tenore è sostanzialmente questo:

Ciao,

sono a conoscenza della tua password, nnnnn. Tu non mi conosci e ti stai probabilmente domandando perché hai ricevuto questo messaggio.

Ho installato un malware su dei siti per adulti che tu hai visitato per divertirti ed ho preso controllo del tuo browser. Ho avuto accesso alla tua webcam e ho registrato dei video compromettenti con te come protagonista.

Ho collezionato tutta la lista dei tuoi contatti su Facebook, posta elettronica e telefono.

Se non mi mandi 1500 dollari entro tre giorni con una procedura che ti indicherò in seguito invierò questi video a tutta la tua lista di contatti.

1500 dollari mi sembrano un prezzo equo per non rovinare la tua reputazione.

Considerato il fatto che la webcam del mio computer è sempre oscurata da una “peretta” tranne quando sono in videoconferenza direi che è piuttosto improbabile che esistano video compromettenti che mi ritraggono.

Questo senza considerare che considero il mio ambiente di lavoro sul computer piuttosto sicuro avendo messo in atto tutte le misure necessarie per prevenire gli accessi non desiderati ai miei documenti, webcam e microfono.

Una variante di questo messaggio è quella che ti raggiunge via Facebook, Instagram o Twitter.

La trama non è molto differenze. Ragazza giovane con un profilo creato da pochi giorni dietro il quale probabilmente si nasconde un uomo irsuto di sessant’anni.

Generalmente lascio perdere e blocco il contatto ma quando ho un pochino di tempo mi diverto un pochino.

lei: “Ciao come stai?”

io: sto molto bene, grazie. Tu come stai?

lei: bene ma mi sento un po’ sola

Un classico. Mi sento sola e desidero avere compagnia di un certo tipo. Approccio troppo diretto.

io: sono cose che accadono. Sono certo che hai una quantità di amici cui poterti rivolgere per avere un po’ di compagnia.

lei: in realtà non ho molti amici e mi piacciono gli uomini anziani!

No, non ci siamo. Se hai intenzione di fare leva sul mio ego e sul fatto che ho gli ormoni in disordine perché, secondo te, nessun essere femminile si interessa a me lo stai facendo male.

Mi dovresti lusingare, non offendere. L’ultima cosa che voglio sentirmi dire è che sono anziano. Lo so da me che non sono un giovincello di primo pelo.

io: Non esprimo giudizi, ma è vero che per alcune persone gli uomini maturi hanno del fascino.

lei: Cosa stai facendo?

io: sto parlando con te!

Tendo sempre ad essere irritante in queste conversazioni per vedere quanto questi personaggi sono disposti a tollerare prima di mandarmi a stendere.

lei: ti piace il sesso?

io: ovviamente sì. Esiste solo una piccolissima percentuale di persone che non è interessata al sesso in questo mondo.

A questo punto lo script varia a seconda delle persone. Ci sono quelli che ti chiedono di spostarti su una chat come Whatsapp, Kik o similari ed altri che ti spostano verso la posta elettronica.

L’obiettivo è di avere un contatto diretto attraverso il quale condurti ad una discussione a sfondo sessuale per poi indurti ad inviare delle immagini compromettenti di te.

A questo punto in genere cerco di sapere di più della persona con cui sto parlando. Carico una qualsiasi immagine presa da internet, la metto sul mio server e mando il link alla immagine. Aspetto che la persona la visualizzi e a questo punto riesco a sapere dove la persona si trova. Non entro nel tecnicismo perché è irrilevante ma bisogna dire che queste persone non sono poi così tanto evolute tecnologicamente e non fanno quasi nulla per nascondere il luogo da cui stanno svolgendo queste attività.

Nigeria, Filippine, Cina, Francia, Polonia sono tra i paesi più comuni.

A questo punto ho speso i miei dieci minuti di divertimento e dico alla persona in quale città si trova, spesso con un certo livello di dettaglio. In caso di grandi città si arriva al quartiere.

Magicamente la conversazione si interrompe.

Io compro cose usate…

… o, almeno, è usata la maggior parte delle cose che compro.

Credo che questa mia passione per le cose usate cominciò qualche anno fa con gli strumenti musicali. Chi mi segue da qualche tempo sa che sono un collezionista compulsivo di chitarre. Non riesco a resistere.

In passata avevo sempre comprato strumenti nuovi. Un giorno in un piccolo negozio di Milano che ora credo non esista più vidi in vendita una magnifica Fender Telecaster. Non era uno strumento nuovo e l’aspetto della chitarra diceva tutto della sua vita passata. Era vissuto e portava sul legno i segni dell’età.

Ne rimasi affascinato. Entrai nel negozio e chiesi di provarla. Mi ricordo che me la fecero provare collegata ad un amplificatore Fender Blues Junior III Tweed. Fu amore a prima vista. Dopo venti secondi sulle corde avevo già deciso che sarebbe stata mia. E’ stato il primo strumento usato di tanti altri.

Non vorrei sembrare melodrammatico ma quella chitarra aveva un anima o, se non altro, lei suonava benissimo insieme a me nonostante i tratti del tempo fossero ben visibili.

Da quel momento ho cominciato a comprare solo strumenti usati. Uno strumento usato ha addosso una storia. Passioni, momenti, transizioni e passaggi di mano. E’ come noi che nel tempo evolviamo sempre. Se compri uno strumento usato compri anche questa storia.

Ovviamente c’è un risvolto economico. Uno strumento usato tende a costare molto meno di uno strumento nuovo e, se sei un collezionista compulsivo, nel lungo periodo questa caratteristica aiuta in maniera decisiva il tuo conto corrente.

Uno strumento usato guadagna nuova vita e smette di stare in un angolo a prendere la polvere. Anche in questo caso c’è un risvolto positivo. In fondo stai alla larga dai maghi del marketing che ogni anno sono costretti a fare salti mortali per comunicarti che il nuovo modello è migliore del precedente. Questo quando la stessa chitarra è rimasta la stessa per gli ultimi sessanta anni.

In alcune occasioni sono passioni passeggere, così come tante altre nella vita. Giri per negozi e trovi uno strumento usato. Lo provi ed in quel momento scatta qualcosa che ti induce a tornare a casa con lui. Ci passi del tempo, impari a conoscerlo e poi succede qualcosa. La relazione si incrina e cominci ad utilizzarlo di meno. Come nella vita reale è inutile tentare di aggiustare una relazione che non funziona. Meglio un taglio deciso. La vita dello strumento deve comunque continuare e quindi lo metti in vendita perché possa rendere felice qualcun altro.

Il discorso che ho fatto sugli strumenti musicali vale per qualsiasi altra cosa. Quasi tutte le mie passioni oggi vivono di oggetti usati: rasoi a mano libera, pietre da affilatura, libri, tecnologia e via dicendo.

Anche la moto che ho comprato recentemente è usata. Mi piace l’idea che sia stata il gioiello di qualcun altro e che ora sia parcheggiata nel mio garage a continuare la sua avventura ed a percorrere nuove strade.

In un certo qual modo comprare cose usate è un atto rivoluzionario. Ci allontana dalla spinta pressante del consumo e ci introduce in un universo che io ritengo essere molto più passionale.

Anche dal punto di vista dell’esperienza di acquisto il fatto di comprare cose usate cambia. Viene meno il meccanismo dell’acquisto compulsivo. Desidero qualcosa, la cerco su internet e leggo per poi andare in negozio, fisico o digitale, per comprarla e averla a casa in meno di ventiquattro ore. Gratificazione istantanea, e, generalmente, di breve durata sino a che non si passa all’oggetto successivo.

La ricerca delle cose usata è di per se una esperienza. Forum, Ebay, negozi di cose usate e mercatini. Spesso ci sono dei gioielli. Non è istantaneo. Devi cercare ed attendere il momento giusto. Spesso un oggetto ti sorprende quando meno te lo aspetti girando per un mercatino della domenica. Come quella volta che in un piccolissimo mercatino trovai un rasoio Filarmonica 14 Doble Temple praticamente nuovo. Lo comprai per un nonnulla e lo stavo cercando da tempo su internet.

Credo che valga la pena provarci.

Podcast?

Che il podcast sia diventato di nuovo rilevante è una dato di fatto.

Rispetto a qualche anno fa ora produrre un podcast è veramente semplice e richiede davvero un modesto investimento. Basta uno smartphone e, se si vuole strafare, un buon microfono esterno per essere pronti a produrne uno.

Cominciai ad interessarmi di podcast per un caso tantissimi anni fa. Durante un viaggio di lavoro in Corea mi ruppi una caviglia e questo incidente mi costrinse su un divano per un paio di mesi. Non sapendo cosa fare passavo tanto tempo su internet e scoprii i podcast.

Il primo in assoluto che scoprii fu, incidentalmente, Italiano. Era il podcast di Radio NK. Questi ragazzi mi hanno davvero tenuto tanta compagnia in quella occasione.

L’altro podcast che mi rapì e di cui ora vediamo ogni tanto qualche gradito ritorno è Pendodeliri, di Antonio Pavolini. E’ un “must listen”!

Preso dall’entusiasmo scrissi anche una applicazione per MacOS, che allora si chiamava OSX, per la creazione del file RSS 2.0 necessario allora per la pubblicazione di un podcast. Era il 2006. Da qualche parte è ancora disponibile sebbene non sia utilizzabile sul sistema operativo annuale. Per pura curiosità ho fatto qualche ricerca e allora fu scaricato da qualche migliaio di persone. Non me ne ero mai reso conto.

In questi giorni, e dopo l’esperienza delle favole in streaming, mi sto domandando se per Corrente Debole avrebbe senso affiancare un podcast. Forse un’altro pezzo di esperimento che varrebbe la pena provare.

Diciamo che le opzioni sono sostanzialmente due:

  • Riprendere in forma audio il contenuto pubblicato e rilasciare, diciamo ogni settimana, una puntata con la lettura di quanto pubblicato.
  • Affiancare quanto pubblicato con qualche contenuto in più e diverso da quanto già pubblicato.

A me l’idea attira.

Voi che ne pensate?