Ogni tanto spendo del tempo su YouTube alla ricerca di qualcosa di nuovo che riguarda le cose che mi interessano. Chitarre, magia, moto e cose di questo genere.
Mi piace scorrere i suggerimenti che YouTube mi fornisce tramite i suoi algoritmi. In alcuni momenti rimango stupito della scarsa qualita delle raccomandazioni che mi vengono date. In altri momenti rimango stupefatto e trovo delle proprie e vere perle.
Quello di cui voglio parlare è uno di questi casi.
SI tratta di un orafor spagnolo, Pablo Cimadevila. Se esiste una rubrica “Letture da non perdere” dovrebbe esistere anche “Persone che devi conoscere”. Ecco, Pablo Cimadevila è sicuramente una persona che tutti dovrebbero conoscere.
E’ un orafo con una storia personale incredbile. Leggete sul suo sito e stupitevi di quali obiettivi un essere umano può raggiungere.
Dopo avere letto la sua storia andate a vedere il suo canale YouTube: qui.
I suoi video sono vera poesia e non dubito che se solo volesse potrebbe dedicarsi ad una properosa carriera da registra.
Credo di avere speso almeno due ore guardando i suoi video. Mi sono stupito della grazia con la quale maneggia i materiali che compongono i suoi gioielli. La misura dei movimenti e la varietà di strumenti che vengono utilizzati per realizzare le sue creazioni. Il montaggio è incredibilmente accurato ed il gusto della fotografia è profondo.
Quando ho aperto gli occhi questa mattina albeggiava e dietro le montagne sembrava volersi affaciare il sole. Giusto il tempo di fare una doccia ed è cominciata una pioggia insistente.
Quella pioggia inclinata dal vento che ti bagna anche se hai un ombrello. Io in realtà l’ombrello non lo uso mai perché mi infastidisce. Preferisco una bella giacca ed un cappello, magari con una foggia d’altri tempi.
E’ sempre stato così. Ricordo in occasione di uno Smau una pioggia del tutto simile, forse un pochino più insistente. La giornata di esposizione era finita ed io avevo appuntamento con la mia fidanzata di allora.
Ero fermo ad un semaforo ed al mio fianco si era fermato un altro ragazzo. Ci siamo guardati negli occhi ed entrambi abbiamo notato che nessuno di noi aveva un ombrello. Il semaforo è diventato verde e ci siamo messi a camminare per attraversare la strada. Entrambi con un passo normale, come se non ci interesse granché della pioggia. Ci guardiamo ancora negli occhi e gli dico “Anche a te non piacciono gli ombrelli?”. Lui mi ha risposto che era davvero così e che li riteneva degli oggetti inutili. Un caso.
Raggiunsi la mia ragazza e credo che già da allora cominciò ad intravedere quella leggera vena di follia che ogni tanto si manifesta in maniera più o meno evidente. Ho una memoria piacevole di quella serata. Non so per quale motivo alcuni momenti ti rimangono impressi per sempre e sembrano indelebili. Ci deve essere un significato.
La pioggia in sé non mi disturba ma, certamente, mi rende meno propenso alla comprensione della gente ed alle loro menate, sopratutto lavorative.
Guardo fuori dalla finestra e vedo il lago. Piove ancora.
Mi piacerebbe tornare a quel momento e a quel semaforo. Avere ancora quell’appuntamento e non perdere una occasione.
Cerco questi minuti di evasione da una giornata uggiosa e noiosa. Scrivo senza dare grande importanza alla sequenza ma lasciando semplicemente andare le dita sulla tastiera.
Forse questo non lo dovreste leggere. Non possiede grande significato.
Capita raramente ma ci sono dei fine settimana in cui sono costretto a lavorare. Va detta la verità e devo dire che in generale mi rifiuto a prescindere dato che ritengo che ci sono degli spazi che non non possono, e non devono, essere invasi dal proprio lavoro.
Come ho scritto più volte non faccio il cardiochirurgo e non salvo la vita a nessuno.
Questo fine settimana lo ho fatto anche se sapevo benissimo che si trattava di un lavoro impossibile da portare a termine nei tempi che mi sono stati dati. Lo ho fatto anche avendo i miei figli con me. Lo ho fatto perché non avevo voglia di litigare lo scorso Venerdì. E dire che a me litigare sui temi di principio piace pure parecchio. Sto invecchiando, evidentemente.
Ecco, sono perfettamente consapevole di avere fatto una cazzata, e non ho proprio alcuna scusa.
La giustificazione che mi sto dando è che, purtroppo, non riesco a resistere ad una sfida, per quanto impossibile essa sia.
Questo è il motivo per cui sono due giorni che sto scrivendo documenti come se non ci fosse un domani. Come a scuola due giorni prima di un esame durante i quali passi come un ossesso da un libro all’altro invocando l’aiuto di tutte le divinità ctonie di tua conoscenza.
E comunque rimane una grande cazzata.
Non sono il solo coinvolto in questa follia. Sono il solo della mia azienda e quindi non ho costretto nessuna delle nostre persone ad un fine settimana di lavoro. Quello che mi fa sorridere è il via vai di messaggi di posta elettronica in cui tuttii cercano strade alternative, provano a rosicchiare dei giorni, cercano escamotage più o meno complessi. Nessuno ha il coraggio di dire che è una cosa impossibile.
In genere io sono considerato quello che dice sempre di no ma, in questo caso, non ci sono riuscito e non ne ho avuto voglia.
Una grandissima cazzata, davvero.
Ho sbagliato. Non si dovrebbe mai derogare da quello che consideri importante.
E ora vado a chiamare i ragazzi per preparare l’impasto per la pizza per questa sera che di scrivere documenti ne avrei anche avuto a sufficienza per oggi. (E comunque già so che dopo averli riaccompagnati a casa mi rimetterò a scrivere)
Col passare del tempo alcuni luoghi della città – la pineta è uno di questi – mi ricordano sempre piú intensamente sensazioni e fantasticherie del passato remoto. Un’epoca di stupore. Ecco, certi luoghi della città mi fanno sentire nostalgia per lo stupore. Essere storditi dalla forza di qualcosa. Mi piacerebbe tanto, se capitasse di nuovo. Forse potrebbe essere proprio lo stupore – se fossimo capaci di impararlo – l’antidoto al tempo che accelera in questo modo insopportabile. Il tempo è molto piú esteso per i giovani perché sperimentano in continuazione cose nuove. La loro vita è piena di prime volte, di improvvise consapevolezze. Il tempo scorre veloce quando si invecchia perché, di regola, si ripete sempre uguale. Le possibilità di scegliere si riducono, le vie sbarrate si moltiplicano, fino a quando tutto pare ridursi a un unico, piccolo sentiero. Non hai voglia di pensare a dove conduce, quel sentiero, e questo produce un’anestesia della coscienza. Aiuta ad attutire la paura della morte, ma sbiadisce i colori.
La misura del tempo – Gianrico Carofiglio
Sono seduto sul mio divano dopo una giornata di lavoro. Sollevo la manica del maglione per guardare che ore sono. C’é l’orologio di mio padre al polso e lo osservo. Sono quasi ipnotizzato dalla lancetta dei secondi che mi muove. Piccoli scatti. Continui.
In quel momento mi ricordo di questo passaggio di Gianrico Carofiglio e lo trovo perfettamente adatto a questo momento. La considerazione è importante e contiene un fondo di verità, sopratutto nella frase finale. E’ a questo che ci deve ribellare.
Quelle parole contengono anche la soluzione: “Il tempo scorre veloce quando si invecchia perché, di regola, si ripete sempre uguale.”
Questa è la chiave. Inutile tentare di combattere il tempo che passa. Inutile tentare di rincorrere una eterna adolescenza che alla fine è stato un periodo traumatico. Più si invecchia e più si rischia di ricadere in inutili tentativi di riviverla. Penso ai miei coetanei che si comprano la moto quando non hanno mai avuto il coraggio di guidarla quando erano giovani. L’auto sportiva a due posti senza i posti dietro per i passeggeri. Quei posti che hanno contenuto ruoli e responsabilità. La fidanzata di vent’anni più giovane e una scorta di antidolorifici per la sciatica che li assale dopo la serata in discoteca. Più si è vecchi e più le recrudescenza adolescenziali sfociano nel ridicolo.
Uso la mia solitudine con il metodo paziente di chi non ha più fretta. Mi concentro sui gesti, sulle parole pronunciate a mezza voce, sui suoni della strada. A volte mi sento sopraffatta dal senso di esserci, dal sentirmi terrestre e presente, con le radici che affondano in una vita infinita. Altre mi sento invasa da una leggerezza strana, che mi fa sorridere dei dettagli, della mia espressione ilare, come una vecchia pazza che si guarda allo specchio.
L’estate dell’incanto – Francesco Carofiglio
La leggerezza come la intendeva Calvino. La sorpresa delle piccole cose. I suoni ed i rumori del mondo che ti circonda. Un sorriso ed un gesto gentile per un estraneo. La cura dei dettagli. Le cose belle e l’equilibrio.
In fondo la svolta è sempre a portata di mano. Ci si deve imporre di rompere lo schema dell’abitudine che, per semplicità, ci conduce sempre nella stessa direzione.
Forse questo è il motivo per cui il mio lavoro mi piace davvero tanto. Progettare esperienze, fare vivere esperienze. Condurre qualcuno al di fuori di uno schema predefinito e stupirlo, piacevolmente. Rompere uno schema. Imboccare una strada diversa. Fermarsi. Lasciare andare le cose e le persone. Ogni giorno.
Ed ecco la chiosa finale. Smettere di preoccuparsi del giudizio degli altri. Diciamoci la verità: alle altre persone di noi non importa nulla e, ne sono certo almeno per me, le persone il cui giudizio vi interessa si contano sulla dita di una mano. Che pensino ciò che desiderano o, come direbbero a Roma, e ‘sti cazzi.
E poi te ne rendi conto. Il tempo comincia a rallentare.
Da questa mattina ho eliminato la firma da tutti i miei account di posta elettronica.
Ci stavo pensando da tempo ed è davvero arrivato il momento di farlo.
In questi anni la necessità di affermare il mio ego e flettere i muscoli è davvero scesa, fortunatamente, a livelli minimi.
In fondo la firma in calce ad un messaggio di posta elettronica è davvero puro e semplice show off. Non ho davvero bisogno di farti sapere che sono il General Manager di Sketchin. Che lavoro in Sketchin lo scopri semplicemente leggendo l’indirizzo di posta elettronica dal quale hai ricevuto il messaggio. Se poi sei proprio curioso un giro veloce su LinkedIn potrà soddisfare la tua curiosità.
Il fatto di non dirti che sono il General Manager di Sketchin mi permette anche di sapere come ti comporti in relazione alle altre persone e di capire se il tuo atteggiamento cambia in funzione dell’interlocutore. Ovvio che se ti comporti diversamente in funzione dell’interlocutore non mi fai una buona impressione.
Non sono nemmeno così convinto che sia un buona idea darti il mio numero di cellulare al nostro primo contatto. Magari sei uno di quegli ossessivi compulsivi che dopo avermi inviato un messaggio di posta elettronica mi manda un messaggio dicendomi che mi ha scritto un messaggio di posta elettronica per poi, magari, chiamarmi anche per dirmelo.
Perché poi dovrei anche dirti dove trovarmi fisicamente durante la maggior parte della settimana o darti informazioni come il mio account Skype o altri punti di contatto sui quali potrai poi importunarmi senza che io te lo abbia chiesto?
Se proprio sarà necessario parlarci o vederci sarò io a dirti in che modo.
Infine credo che io sia definito per quello che scrivo e, dopo, per quello che faccio dopo averti scritto, non per quello che si legge nella mia firma di posta elettronica.
Comunque è indubbio che con l’età io stia diventando una persona molto complessa da gestire.
Come per qualsiasi altro evento esiste un prima, un durante ed un dopo. Ecco, a me in questi giorni preoccupa il dopo.
Sembra ben evidente il fatto che ci saranno degli impatti sulla economia del nostro paese. Le prime evidenze sono sotto gli occhi di tutti. Esercizi commerciali vuoti, voli e viaggi cancellati, prenotazioni alberghiere disdette e via dicendo.
Anche sui giornali si cominciano a leggere le previsioni sul PIL che già non godeva di ottima salute. Tutti gli analisti sono concordi sulla sua diminuzione e le stime variano molto in funzione della provenienza.
Questo è certamente un dato preoccupante ed è certo che saranno aziende ed imprenditori che verrano colpiti da questo fenomeno. Queste saranno le vere vittime.
Quello che mi preoccupa ancora di più sono i furbetti che di questa potenziale catastrofe approfitteranno. Siamo un paese uso a questo genere di cose. Ricordate i due imprenditori che se la ridevano bellamente durante il terremoto de l’Aquila?
Vogliamo scommettere che succederà esattamente la stessa cosa a valle del contenimento o scomparsa del virus COVID-19. Briganti che useranno la scusa del coronavirus per ricattare i propri dipendenti e costringerli a condizioni ancora meno favorevoli. Giovani che saranno costretti ad accettare contratti umilianti. Ritardi nei pagamenti.
Nessuno interverrà e ci si limiterà ad una alzata di spalle. Non avremo imparato nulla.
Leggo dello studio di iniziative che possano aiutare le aziende e gli imprenditori a superare un momento difficile. Iniziativa lodevole ma che andrebbe pensato ad ampio respiro. Considerazione valida non solo per la situazione odierna ma per tutte le emergenze che questo paese ha vissuto in passato. Per qualche mese potrai evitare di pagare il mutuo o di versare l’IVA o di dilazionare la tue tasse. Bello, molto bello. Titoli sui giornali. Speranza.
Il problema è che una volta passata l’emergenza la burocrazia riconquisterà il suo territorio e si riprenderà tutto quello che concesso senza fare sconti a nessuno e con i soliti metodi. Le banche busseranno alla porta, l’Agenzia delle Entrate ricomincerà a mandare le sue cartelle esattoriali e via dicendo.
Tutto questo per dire che un intervento singolo ha certamente un senso ed è utile. Del tutto inefficace se non si immagina come questo si diluisce l’intervento nel lungo periodo.
Non so per quale motivo ma non mi sento granché fiducioso nella nostra capacità di venirne fuori salvando tutti e, sopratutto, i più deboli.
E’ una cosa che conosco da tanto tempo e si tratta di un sistema wearable, come direbbero quelli fighi, che è teso alla modifica delle abitudini ritenute dannose.
La cosa interessante di questo strumento è che si tratta di un oggetto molto borderline se parliamo di benessere. Infatti la sua natura è quella di infliggere dolore e fastidio.
Si tratta di Pavlok 2. Il concetto è veramente semplice. L’oggetto si collega al vostro smartphone via Bluetooth e monitora il vostro comportamento. Ogni volta che il vostro telefono riconosce un comportamento poco virtuoso, come ad esempio troppo tempo passato sui social media, si mette a chiacchierare con il vostro Pavlok 2 e lo istruisce affinché vi dia una bella scossa elettrica come punizione.
La narrativa del sito è interessante. Ovviamente viene garantito il fatto che l’oggetto è sicuro e che non è dannoso come lo sarebbe un asciugacapelli nella vasca bagno. Allo stesso tempo si evidenzia il fatto che l’algoritmo che decide se punirvi o meno e con quale livello di intensità è studiato affinché sia in grado di distruggere anche le più sedimentate pessime abitudini.
Sinceramente mi sembra che stiamo andando un pochino troppo in là, ma potrei sbagliarmi. Dovrei provarlo per poterlo dire. Certo che 29.99 dollari al mese per farsi dare delle scosse elettriche è un impegno non da poco.
Io consigliere un business model che preveda anche un uso in un contesto non consumer. Immaginate quale goduria dare uno di questi bracciali ad ognuno dei nostri clienti e avere una applicazione che manda loro una scossa elettrica ogni qualvolta scrivono o dicono scempiaggini.
Ecco, in questo caso io 29.99 dollari al mese ve li darei pure.
Che io sia una persona molto attenta alle parole che usa è oramai un fatto conclamato e per questa ragione vorrei fare qualche osservazione riguardo alla narrativa che in questi giorni si legge intorno al tema smart working.
Su LinkedIn è tutto un fiorire di post sul tema e, tutto sommato, mi sembra anche giusto. Lo smart working è uno strumento che in questi giorni si rivela particolarmente utile.
La prima considerazione da fare è che è vero che si tratti di uno strumento utile. Altrettanto vero è che si applica solo ed esclusivamente ad un certo insieme di attività. Se fai il social media manager è evidente che puoi lavorare anche a Timbuktu, ammesso che tu abbia uno straccio di connessione internet. Se lavori alla catena di montaggio della FIAT e il tuo lavoro consiste nell’assemblare motori, lo smart working risulta essere un pochino più complesso da gestire.
La seconda considerazione riguarda il fatto che in genere per fare smart working devi possedere una connessione internet che sia di qualità. Ecco, se leggete le lamentele relative alla qualità di alcune connessioni Internet capirete che il tema non è affatto banale.
Figlio della considerazione di cui sopra è il tema della possibilità di accedere agli strumenti ed ai dati che utilizzi in azienda. Non tutte le aziende sono strutturate affinche i propri dipendenti possano accedere da remoto ai sistemi ed ai dati di cui hanno bisogno per lavorare. Questo è sopratutto vero se lo smart working non è mai stato praticato in azienda. In secondo ordine si deve anche considerare il fatto che sebbene esistano una varietà enorme di strumenti di collaborazione remota non è detto che le aziende siano pronte ad utilizzarli dal giorno zero.
Arriviamo infine alla narrativa. Fate una veloce ricerca su LinkedIn con il temine telelavoro, smart working e affini.
Il verbo che più spesso compare in tutti i post è “concedere”. Consultiamo il dizionario Treccani:
concèdere v. tr. e intr. [dal lat. concedĕre «ritirarsi dinanzi a qualcuno, cedere, concedere», comp. di con– e cedĕre «cedere»] (pass. rem. io concèssi o concedéi o concedètti, tu concedésti, ecc.; part. pass. concèsso, meno com. conceduto). – 1. tr. Dare, per grazia, per favore, per generosità o consentendo a un desiderio di altri; ha sign. più ampio di accordare, in quanto non sempre presuppone una domanda: c. il perdono, un sussidio, un diritto, una proroga; c. la grazia a un detenuto; c. un aumento dello stipendio; concedimi un po’ di tempo per riflettere; la conferenza avrà luogo nella sala del circolo Verdi gentilmente concessa (anche abbr.: g. c.). Con si rifl., come compl. di termine: concedersi un po’ di riposo, qualche giorno di svago; come vero e proprio rifl., concedersi, darsi, consentire a un rapporto sessuale: si è concessa al suo amante. 2. tr. Seguito da che o di: a. Permettere: maestro, or mi concedi Ch’i’ sappia quali sono (Dante); mi ha concesso di rientrare un’ora più tardi. b. Ammettere come cosa vera: concedo di aver torto; devi c. di avere esagerato (meno com. di ammettere o riconoscere). Con questo senso, è spesso usato il part. pass. concesso, in costruzione assoluta: anche concesso che lui riceva la lettera, sei sicuro che risponderà?; e nella formula ammesso e non concesso (o anche, meno com., dato e non concesso), quando si ammette momentaneamente come vera un’ipotesi ritenuta improbabile, al solo scopo di poter controbattere le ragioni dell’avversario o per aver modo di sviluppare un ragionamento: ammesso e non concesso che ti abbia offeso, non avevi diritto di reagire così; dato e non concesso che nella luna fusse chi di là potesse rimirar la terra (Galilei). 3. intr. (aus. avere), ant. o letter. Cedere, arrendersi: c. al fato, soccombere, morire: se tu vivi, o misero, Se non concedi al fato (Leopardi). ◆ Part. pres. concedènte, anche come agg. e sost. (v. la voce).
Bene, leggete con attenzione il punto 1: Dare per grazia, per favore, per generosità o consentendo ad un desiderio di altri.
Immagino che possiate cogliere il punto. Nonostante le buone intenzioni si usa il verbo concedere. Nel retrocranio c’è sempre il timore che il dipendente abusi e che comunque si tratta di una grazia o di un favore.
A me sembra evidente che si faccia ricorso allo smar working obtorto collo. Un compromesso reso necessario dalla situazione di emergenza in essere ma non proprio della cultura aziendale che, appunto, lo concede.
Interessante anche il fatto che vengano fatti questi “proclami”. Chi ha usato quello strumento da decenni, come noi per esempio, non ha sentito il bisogno di comunicarlo. E’ talmente interiorizzato nella cultura aziendale che per noi è la normalità. E così dovrebbe essere ovunque.
Rimane il fatto che è comunque una cosa positiva. Ci metterà a disposizione dei dati oggettivi per dimostrare a tutti che è uno strumento valido e che funziona egregiamente. Naturalemente ci saranno degli abusi, ma niente di diverso dagli abusi che possiamo osservare ogni giorno in tanti uffici.
Non entro nel merito della situazione relativa alla diffusione o pericolosità del virus Covid-19, altrimenti conosciuto come Coronavirus. Semplicemente non ne sono all’altezza.
Mi limito ad un insieme di percezioni in questo giorni di caos che si stanno vivendo a Milano e dintorni.
In Sketchin per non sapere né leggere né scrivere abbiamo deciso di lavorare tutti da remoto per i prossimi giorni. Siamo dei privilegiati. Non facciamo i neurochirurghi e non salviamo la vita a nessuno con il nostro lavoro. Oltre a questo la natura dei nostro servizi ci permette di essere efficaci anche se stiamo lavorando da un bar di Caracas. In questo modo tranquilliziamo anche la totalità delle nostre persone che non devono sentirsi obbligate a correre quelli che potrebbero, legittimamente, ritenere dei rischi per la propria salute o quella dei propri cari. Forse una volta per tutte riusciremo a fare capire ai nostri clienti che siamo molto più efficaci quando lavoriamo da remoto.
Non riesco ad orientarmi tra tutti i numeri che mi vengono proposti dai media. Provo a farlo da solo facendo riferimento agli Open Data ma non sono in grado di interpretarli non essendo un esperto. Lascio perdere.
In relazione al punto 2 cerco di usare solo fonti di informazioni istituzionali come il sito della Regione Lombardia e quello del Ministero della Salute. Diciamo che tra i due mi sembra maggiormente informativo quello della Regione Lombardia. Quello del Ministero della Salute non ha mutato forma a fronte della situazione. Personalmente ritengo che sia un errore ma trattasi di mia opinione.
I folli aumenti dei prodotti come Amuchina Gel e mascherine su Amazon, argomento di cui avevo già parlato ieri, sembrano essere scomparsi. Non è dato sapere se per iniziativa dei venditori o per una azione di Amazon. Nessuno dei venditori cui avevo scritto mi ha risposto ad eccezione di uno che ha approfittato della via di uscita che gli ho offerto dicendo che si è trattato di un errore.
Da questa mattina ho ricevuto solo quattro messaggi di posta elettronica rispetto ai 40/50 che una veloce ricerca mi indica per le settimane precedenti. Evidentemente una ripercussione sulle attività c’è e ci sarà.
Leggo la cronaca locale di Buccinasco, paese in cui vivevo, e quella di Solaro, paese in cui sono nato e cresciuto, e vengo informato del fatto che sedicenti emissari della ASL chiedono agli anziani di farli entrare in casa per eseguire dei tamponi. Sciacalli.
Leggo i titoli dei quotidiani online e faccio raffronti tra i titoli. Mai come ora mi rendo conto che un solo avverbio può fare una grande differenza sul messaggio che vienne trasmesso.
A tutti viene suggerito di evitare i luoghi ad alta socialità ed un politico organizza una cena per 1500 persone. Allo stesso tempo Austria, Mauritius e Romania faranno stare in quarantena le persone in arrivo dall’Italia. Anche in questo caso forse capiremo cosa significa. Sono comunque perplesso.
A Milano supermercati presi d’assalto e scansie vuote. Direi fenomeno locale dato che ieri ho fatto la spesa a Como e la densità era la solita del fine settimana. Nessuna mascherina.
Scrivo queste righe dal mio giardino a Laglio e sento il rumore delle onde del lago. Non riesco a farmi una opinione precisa sul tema e questo mi infastidisce.
Companies Are Brilliantly Solving the Wrong Problems
Perché è interessante: Interessante punto di vista sulla differenza tra la vera innovazione e l’evoluzione di un prodotto o servizio. Mi interessa moltissimo il concetto secondo il quale indirizzare un singolo problema potrebbe essere un errore fondamentale. L’ecosistema e l’impatto fanno la differenza.
This Ring Uses a Fake Fingerprint to Protect Your Biometric Data
Perché è interessante: Una dimostrazione di come si possa superare una debolezza intrinseca della autenticazione basata su informazioni biometriche: il fatto che la rappresentazione in dati di una impronta digitale possa essere sottratta ed utilizzata. Ovviamente non possiamo cambiare le nostre impronte digitali e per questo motivo questo mi sembra un approccio interessante e stimolante.
Perché è interessante: Credo che questo manifesto, la cui origine è autorevolissima (Andreessen Horowitz), apra una finestra interessantissima sulla evoluzione della biologia per le scienze. Sicuramente un’area cui prestare attenzione nel prossimo futuro anche per le implicazioni etiche che contiene ed i potenziali rischi ad essa connessi.
Nella giornata di ieri stavo cercando su Amazon un libro da acquistare in forma cartacea. Lo trovo e faccio il mio ordine come di consueto. A questo punto credo che gli algoritmi di Amazon incrociano l’indirizzo di spedizione e la corrente situazione di richiesta di quest prodotti e mi offre l’acquisto di una confezione da quattro pezzi di Amuchina Gel Disinfettante.
Niente di terribile. Un pochino borderline ma ci potrebbe anche stare.
Noto il prezzo: 88.9 EUR… quasi come il tartufo nero.
Mi metto a fare una ricerca e vedo che non si tratta di un caso isolato.
La pratica sembra essersi diffusa in maniera preoccupante.
Onestamente mi girano le palle. Ora, vero è che il mercato libero ed io posso vendere i miei prodotti al prezzo che desidero e sta alla domanda decidere se pagare quel prezzo o meno ma è altrettanto vero che siamo veramente sotto la soglia del buon gusto e della opportunità.
Quindi mi girano le palle e decido di prendere i venditori uno per uno e dal sito di Amazon scrivo a tutti.
Buon pomeriggio, Ma davvero nemmeno un pochino di vergogna?
Vi concedo il beneficio del dubbio e spero in un errore.
Cordiali saluti.
Avrei potuto dare di più, in effetti.
Ovviamente nessuna risposta da nessuno di quei quattro venditori.
Esco per fare delle commissioni e per una cena con amici ed al mio ritorno faccio una nuova verifica. Quelle quattro aziende sono scomparse ma ne sono arrivate altre ed il prezzo è anche salito.
E’ quasi l’una di notte e non ho voglia di scrivere anche a questi. Mi riprometto di farlo il giorno successivo. Questa mattina noto che i prodotti sono scomparsi da Amazon e anche una ricerca di “Amuchina Gel XGerm” non ritorna alcun risultato.
Forse reagire quando ci si trova davanti ad una aberrazione serve a qualcosa.
Da tanto tempo la politica non mi attrae più come una volta. Forse da quel momento in cui mi resi conto che l’idea che me ne ero fatto non corrispondeva affatto alla realtà delle cose.
Sono sempre stato un idealista, sebbene con una altissima dose di cinismo ma mi affascinava l’idea di essere in grado di risolvere i problemi delle persone rispettando un ideale, quale questo fosse. Pensavo che ci si potesse confrontare con il potere delle idee e delle parole.
Che ingenuo, non è vero?
Cominciò a parlarne Aristotele. L’arte di governare la società. Era affascinante.
E poi la realtà delle cose. La coltivazione degli interessi personali sopra tutto e sopra tutti. Un continuo degrado di costumi e relazioni. Oramai gli ideali si sono diluiti in slogan. Il linguaggio è diventato aggressivo ed utilizzato per colpire, per ferire a morte gli avversari. L’amplificatore dei social network permette di colpire chiunque in maniera molto profonda e senza possibilità di riscatto o di ristabilire la realtà delle cose.
Di fronte a quella che sembra essere una emergenza nazionale ci si limita ad attaccare gli avversari invece di fare come suggerisce il nostro inno: “stringiamoci a coorte”.
Ribrezzo. Assoluto.
Il riflesso di questa politica lo vediamo tutti i giorni. Oggi quando i cittadini vorrebbero avere delle risposte dal Ministero della Salute, anche solo per informarsi, per capire cosa accade, per avere dei consigli da una fonte autorevole il sito non è raggiungibile. Evidentemente un numero troppo alto di avessi non in grado di essere gestiti dai sistemi esistenti.
Cialtroni. Colpevoli cialtroni.
Sarei curioso di andare a leggere il bando di gara con il quale è stata assegnata la progettazione del sito del Ministero della Salute. E tutto questo per cosa? Denaro, solo denaro.
E siamo nel 2020 dove disegnare una architettura in grado di sostenere milioni di accessi ad un sito che, alla fine, è un sito statico è una passeggiata di salute. Una passeggiata di salute che certamente costa molto meno di quanto posso immaginare sia stato speso per realizzare ciò che esiste oggi.
Dovrebbero esserci gli strumenti per permettere ai cittadini di verificare queste cose e denunciarle. Non è tollerabile.
Ancora ribrezzo. Assoluto.
E nonostante tutto solo strilli ed urla. Accuse, palcoscenici.
In sintesi pare che sia possibile codificare una sequenza fisica di DNA in modo che quando questa viene sequenziata da una macchina in laboratorio i dati che vengono generati si trasformano in una applicazione che prende il controllo del computer che governa la macchina.
Sarò anche un nerd ma a me questa cosa fa impazzire.
Punto primo. Come diavolo ti è venuto in mente di provare a fare una cosa del genere? Evidentemente alla università di Washington hanno tanto di quel tempo e denaro da spendere da potersi spingere ai limiti della fantascienza.
Punto secondo. E’ oramai abbastanza evidente che i vettori di codice dannoso posso assumere qualsiasi forma. Praticamente qualsiasi cosa esistente al mondo può contenere del codice.
Ci si potrebbe domandare per quale motivo un malintenzionato potrebbe volere usare una tecnica così complessa. In fondo questa tecnica richiede che un laboratorio venga in possesso di uno specifico seguente di DNA e che decida di analizzarlo su una determinata macchina che espone quella vulnerabilità. L’articolo offre uno spunto interessante in risposta a questa domanda. Questo genere di macchine potrebbe trovarsi in luoghi molto sensibili come laboratori di ricerca, enti governativi e istituzioni sanitarie. Questi luoghi ospitano certamente dati sensibili e quindi molto appetibili per un commerciante di informazioni riservato.
Questo universo della sicurezza diventa sempre più divertente, e pericoloso.
Negli ultimi anni ho speso tanto tempo nel cercare quale fosse il migliore ambiente di lavoro dal punto di vista degli strumenti digitali che utilizzo. Alla data di oggi il mio ambiente ha raggiunto una certa stabilità e credo di essere molto prossimo a quello che è adatto per me e per il mio approccio al lavoro.
Attualmente i sistemi che utilizzo sono:
MacBook Pro 15″ late 2017
iPhone XS Max with an Italian Vodafone SIM
iPhone 8 Plus with a Swiss SIM
In questi anni ho realizzato che questi sistemi e le applicazioni che su di essi girano si sono trasformati in dei mostri che si manifestano con continue richieste di attenzione e, quindi, di tempo.
Il primo punto chiave è la distruzione volontaria del multitasking che viene offerto dai moderni sistemi operativi. Dal punto di vista tecnico è una figata pazzesca mentre dal punto di vista pratico è un assoluto disastro.
Sul mio personal computer in ogni singolo istante è attiva solo l’applicazione che sto utilizzando in quel momento e che mi serve per finire quel particolare lavoro. Niente cliente di posta elettronica in background, niente browser aperto e via dicendo.
Allo stesso tempo continuo ad usa la tecnica del pomodoro per organizzare il mio tempo sulle diverse attività. Per chi di voi non conoscesse di cosa si tratta potrà saperne di più leggendo qui. Per come funziona il mio cervello questa tecnica funziona perfettamente e, generalmente, uso un approccio molto radicale al tema.
Il passo successivo è stato l’organizzazione del mio desktop. In generale ho sempre avuto un desktop molto pulito e faccio un grandissimo affidamento sulla funzione di ricerca offerta dal sistema operativo per navigare nel vasto insieme dei documenti che risiedono sul mio computer.
Lo sfondo del mio desktop non ha nessuna immagine ma un colore solido, #212121. Non mi sono mai piaciute le immagini di sfondo. Gusto personale. In questo caso il colore scuro abbassa la luminosità dello schermo e, minimalmente, risparmia un pochino di energia. Allo stesso tempo utilizzo il Dark Mode offerto da macOS.
Ecco una immagine del mio desktop in questo momento:
Ci sono solo tre folders e nessun documento:
000 – Digital Decanter – E’ una sorta di repository dove deposito tutte quelle cose che prima o poi vorrò leggere per poi cancellarle od archiviarle. Diciamo che in senso lato è un sostituto sul desktop della cartella Download.
000 – TBA, aka “To Be Archived”. Questo è un repository temporaneo per quei documenti che ho finito di lavorare e che sono in attesa di essere spediti od archiviati. Una sorta di magazzino dei prodotti finiti al termine della linea di produzione.
010 – Urgent – Important. Questo è il magazzino delle materie prime in attesa di lavorazione. E’ la mia area di lavoro principale e dentro ci sono tutti quei documenti che devo lavorare.
Da tempo ho smesso di utilizzare il dock standard di macOS in favore di uBar scritto da Brawer Software. Il design minimalista mi piace un casino e le opzioni che mi mette a disposizione lo rendono perfetto per i miei gusti.
Ecco come appare, giusto per darvi una idea:
Non mi piace avere a disposizione nel dock tutte le applicazioni ma, piuttosto, solo quelle che sono aperte. Come ho già detto in fondo ne ho sempre aperte al massimo due o tre. Per lanciare le applicazioni uso sempre la lfunzione search che trovo essere molto più veloce che non cercare una icona tra dozzine di icone.
Anche per quanto riguarda il search non uso il default offerto da macOS, ovverto Spotlight. Piuttosto uso Alfred nel quale la funzione search è solo una delle tante funzionalità che vengono offerte da quella applicazione. Con Alfred posso lanciare applicazioni, cercare documenti, fare calcoli velocemente, eseguire automazioni complesse. E’ una applicazione oramai vitale per me e molto più efficace ed efficiente di Spotlight.
Come avrete potuto notare dalla immagine del mio desktop io nascondo tutte le icone che si trovano nella parte destra della menu bar. Personalmente mi infastidiscono e, almeno per il mio uso personale. non le trovo di grande utilità. La funzionalità che mi permette di nasconderle non è nativa in macOS ma serve un piccolo aiuto che mi viene fornito da Bartender. Un’altra piccola gemma che credo tutti dovrebbero avere.
Ora arriva un punto chiave. Sul mio sistema ho disabilitato qualsiasi notifica da qualsiasi applicazione che non sia il mio Calendario. Questo perché il calendario per me è business critical e poi perché ho la memoria di un pesce rosso. Senza queste notifiche rischierei di saltare tre quarti delle cose alle quali dovrei essere presenti. Di fatto il Calendario è l’unica applicazione che è costantemente aperta sul mio computer. Anche in questo caso non uso il Calendar di macOS ma Fantastical.
Allo stesso tempo ho disabilitato tutti i badge delle applicazioni. Non voglio essere spinto ad aprire una applicazione solo perché mi mostra che c’è qualcosa da leggere, guardare, consultare e via dicendo. Il razionale per me è che tutto deve essere pull e nulla deve essere push. Sono io a volere decidere cosa guardare e quando.
Sempre restando in tema di gusti non mi piace l’applicazione Mail di macOS e per questa ragione dopo un infinito test di diverse applicazioni ho scelto di utilizzare Airmail. Si adatta perfettamente alle mie esigenza e si integra magnificamente con Google Drive, Dropbox, Evernote, Fantastical ed Todoist.
Vale la pena spendere due parole sul mio approccio alla posta elettronica. Non sono mai stato un fan delle tassonomie complesse. Alla fine uso solo tre folder. Il primo è la classica Inbox. Nulla da dire su questo. Il secondo è l’archivio in cui finiscono tutti i miei messaggi di posta elettronica e la cui funzionalità mi viene offerta direttamente da GMail che uso sia aziendalmente che personalmente. L’ultimo folder è degno di nota e si chiama ACP, acronimo di Ad Culum Parandi. E’ quel luogo dove metto tutti quei messaggi che un giorno o l’altro potrebbero tornarmi utili quando succederà qualcosa di critico che richiede evidenze precise. Va detto che da quando sono in Sketchin l’utilità di questo folder è praticamente nulla. Il mio client di posta elettronica non è sempre aperto. Generalmente lo apro sistematicamente tre volte al giorno: alle 9.00, alle 13.00 ed alle 16.00 per consultare la posta in arrivo. Se devo inviare un messaggio una volta terminata una attività apro il client, mando il messaggio e richiudo il client senza leggere nessuno dei messaggi in ingresso. Ad ogni sessione di posta elettronica viene assegnato un Pomodoro di 25 minuti.
Bene, parliamo dei miei telefoni.
La prima cosa è che da due telefoni ora sono diventati uno. Sono in attesa di passare ad una Virtual SIM in modo da avere un unico device con due numeri telefonici a bordo ma sappiamo bene quanto gli operatori siano restii a questo passo. Per questa ragione uno dei due telefoni è sempre spento e siede sulla scrivania di casa. Sinceramente ero stufo di girare con due terminali in tasca. Troppo peso.
Anche per quanto riguarda il mio telefono tutto deve essere pull e non push.
La prima cosa che ho fatto è disabilitare la funzione “Raise to Wake”. Non voglio che lo schermo del mio telefono mi spinga ad essere consultato semplicemente prendendo il telefono dalla scrivania. Voglio che lo schermo si accenda solo quando lo decido io, quindi volontariamente. Questo è un toccasana per quanto riguarda l’attenzione.
La seconda cosa che ho fatto è rimuovere tutte le applicazioni dallo schermo del telefono per metterle in un folder che si chiama App. Questo mi serve per evitare distrazioni. Quando sblocco il telefono lo faccio per compiere una specifica azione. Mandare un messaggio, fare una telefonata, consultare il calendario. Non voglio che l’icona di una applicazione mi spinga ad interagire con lei a meno che io non lo voglia esplicitamente.
Anche sul telefono uso la funzione search per lanciare applicazioni o, talvolta, anche Siri sebbene con minore frequenza.
Nel dock del mio telefono tengo tre applicazioni chiave per me: Telefono, Calendario e Mail con in più il folder App di cui ho parlato prima.
Allo stesso tempo ho uno sfondo assolutamente minimale sebbene un pochino più vivo di quanto non sia lo sfondo del mio personal computer:
Anche sul mio telefono ho disabilitato tutte le notifiche, badge e alert da tutte le applicazioni ad eccezione del Calendario. Quando ne ho voglia consulto le applicazioni per vedere se ci sono novità. In realtà per alcune di essere lascio attivi i badge come per WhatsApp, Slack, Phone e Messaggi. I badge sono assolutamente disabilitati per la mail. Quando sono in movimento uso per la mail la stessa filosofia che uso per il personal computer.
Quando lavoro il telefono è sempre in modalità “non disturbare”. Le sole chiamate ed i soli messaggi che possono passare sono quelli provenienti dalla mia famiglia che ha sempre la priorità su tutto.
Faccio un grandissimo uso dei Widgets che mi semplificano l’accesso a determinate informazioni senza costringermi a sbloccare il telefono e potenzialmente essere distratto.
Ho eliminato dal telefono tutte le applicazioni dei Social Network come Facebook, Instagram e Twitter. Continuo ad avere accounts su questi Social Network ma, come molti di voi hanno notato, sono mesi che sono molto poco attivo. Il mio focus è molto più rivolto ad interazione più reali e in fondo non ne ottenevo un grande beneficio.
Di questo avevo già scritto qualche tempo fa su Medium e, di fatto, la mia strategia da allora è cambiata ancora, sebbene minimamente.
E’ ben chiaro che ognuno deve trovare il suo equilibrio ma per me questo funziona alla grande e mi permette di essere decisamente più produttivo e focalizzato.
La mattinata è completamente impegnata nella analisi di un bando di gara per la Pubblica Amministrazione. Una cosa tanto divertente quanto una marcia forzata nella steppa Russa in pieno inverno vestiti con bermuda, maglietta ed infradito.
Nonostante la grande eccitazione tutto si rivela abbastanza produttivo anche se addentrarsi nella grammatica e nella sintassi di questi bandi di gara richiede una pazienza certosina.
Finisco il mio incontro e devo tornare in studio, in via Bari. Sono circa due chilometri e mezzo di camminata. C’è un bel sole e la temperatura è primaverile. Non c’è alcun bisogno di saltare su un taxi e decido di camminare.
Camminare mi permette di riflettere, sopratutto quando mi trovo in una città incredibile come questa.
Mi incammino verso lo studio ed in fondo a via Sicilia mi fermo davanti ad una vetrina. Si tratta di un piccolo negozio con una sola vetrina. Espone coltelli, pennelli da barba e rasoi. Ne sono istantaneamente attirato e quindi mi fermo a valutare la merce esposta.
Mi rendo immediatamente conto che non si tratta di un negozio come tanti. Sebbene si tratti di una piccola bottega ha esposta della merce particolare. I penneli da barba hanno marchi prestigiosi e la varietà è veramente molto alta. Non espone rasoi a mano libera ma i rasoi di sicurezza esposti sono veramente molto particolari. Si capisce che lì dentro c’è qualcuno che se ne intende. Non sembrano affatto delle scelte casuali.
Decido di prendermi una pausa nella mia giornata ed entro nel negozio. Vengo subito accolto da una signora gentilissima a cui dico che vorrei dare una occhiata al loro negozio. Lei, cortesemente, mi invita a fare con comodo e a rivolgermi a lei nel caso avessi bisogno. Il negozio è veramente molto piccolo ma la quantità di merce esposta è veramente notevole. Coltelli da cucina di buone marche, rasoi di sicurezza di tutto rilievo e, finalmente, anche un incredibile assortimento di rasoi a mano libera. Tutte cose di qualità selezionate accuratamente. Coramelle, pennelli da barba, saponi. Un piccolo paradiso.
Dietro il banco c’è un uomo che è circondato da tutto ciò che serve per affilare coltelli e rasoi. Immagino che siano marito e moglie e che insieme conducano gli affari di quel negozio.
Chiedo di vedere un paio di rasoi e molto velocemente il discorso si sposta sulla qualità delle lame, sulla tradizione artigiana che li produce. La qualità della rasatura. Passo un buon quarto d’ora discorrendo di una passione che scopro essere comune. Il signore dietro il bancone ha fermato il suo lavoro per parlare con me. Sono entrambi molto competenti e si vede che amano quel lavoro. Almeno questa è la mia impressione.
Non posso fare a meno di acquistare qualcosa ed esco con un rasoio di sicurezza Muhle ed una crema da barba di Edwin Jagger.
Ho il sorriso sulle labbra perché è stata una esperienza inaspettata e piacevole. Ho scoperto una piccola gemma che non mancherò di visitare ancora in futuro.
Se vi interessa il luogo è questo: Coltelleria Tamassia, Via Sicilia 257, 00187 Roma.