Swinging for the fences

Con questa locuzione tipicamente Americana e derivante dal gioco del baseball si intende volere colpire la palla il più forte possibile in modo da farla uscire fuori dal campo di gioco. Se la palla esce dal campo di gioco ne diventa impossibile il recupero per la squadra avversaria favorendo quello che in gergo viene chiamato home run. Un grandissimo colpo, insomma.

Leggo la lettera annuale del 2020 della Bill and Melinda Gates Foundation. La lettera la potete trovare qui ed è una lettura interessante.

Il contenuto della lettera è notevole nella analisi e nei numeri che vi sono rappresentati. E’ ben chiaro l’impatto che la fondazione ha avuto e che intende avere nel prossimo futuro.

Leggendo mi cade l’occhio su un passaggio che è evidenziato:

At the core of our foundation’s work is the idea that every person deserves the chance to live a healthy and productive life.

Non si potrebbe essere più daccordo. Continuando a leggere il documento si evince che la maggiore attenzione è posta su paesi poco sviluppati in cui i due aggettivi, healthy e productive, rappresentano un enorme problemi per gli abitanti.

Già se ponessimo l’accento su questi due aggettivi in terra Americana noteremmo un certo contrasto con la realtà delle cose. Se è vero che grazie all’uomo con i capelli arancioni i dati sulla occupazione sembrano migliorare è altrettanto vero che il sistema sanitario è molto, molto lontano dal garantire una vita sana a tutti i cittadini.

Rivolgo quindi lo sguardo in casa e mi rendo conto che è esattamente la stessa cosa. Un sistema sanitario che è costretto a barcamenarsi tra continui tagli ed ingerenze della politica ed un mondo del lavoro assolutamente lontano dall’essere in grado di garantire un lavoro a chiunque.

Senza andare troppo lontano basterebbe rivolgere uno sguardo al nostro dorato mondo del design e fare una riflessione. Non passa giorno che non mi capiti di leggere, od ascoltare in prima persona, racconti dell’orrore lavorativo. Partite IVA che vengono usate come dipendenti, validi professionisti pagati come stageur, pagamenti in visibilità, lavoro mascherato da investimento, promesse e via discorrendo.

Scenario deprimente sul quale qualche volta mi sono ritrovato a mandare a stendere un paio di paladini.

Sono pienamente in linea con quanto scritto dalla fondazione. E’ una cosa importante e fondamentale per l’equilibrio del mondo. Allo stesso tempo è importante lo scenario che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e per il quale è un imperativo morale intervenire. Intervenire ognuno nel proprio piccolo. Noi da queste parti lo facciamo o, comunque, ci proviamo.

Concludo con un’altra citazione da un testo piuttosto trascurato:

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Art. 32

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Costituzione della Repubblica Italiana

Quando avete letto l’ultima volta questo testo? Fatelo. Spesso.

Io lo faccio regolarmente e mi sembra meglio di un libro di Isaac Asimov.

Attenzione che non si tratta di un discorso populista del genere “Guardiamo prima a casa nostra”. E’ giusto una osservazione. Credo che psicologicamente ci venga più facile rivolgere la nostra attenzione a problemi lontani piuttosto che a quelli che abbiamo a portata di mano. Credo che sia naturale.

Quello che ci manca è davvero una visione di insieme che possa affrontare i problemi dello stesso genere, locali e lontani, in un unicum.

Stazione

Come spesso mi capita mi trovo in stazione in attesa di un treno che mi porterà a Roma. La stazione è il più classico dei nonluoghi. Un luogo in classica contrapposizione con i luoghi antropologici.

In stazione migliaia di persone incrociano le loro storie senza davvero mai entrare in relazione. Quei pochi scambi che si hanno sono parte della funzione del luogo. “Il treno 9935 arriva a questo binario?”. “Dove si trova la biglietteria?”.

Vero è che la definizione di nonluogo si applica solo marginalmente alla stazione Centrale di Milano. Scerbanenco scriveva che “La stazione Centrale di Milano è un pianeta a sé, come una riserva di pellerossa all’interno della città”.

Te ne rendi conto immediatamente non appena metti piede nel piazzale. Sei circondato da un universo di persone così diverse tra di loro da rimanere frastornato ed impaurito. Ci sono le forze dell’ordine davanti alle quasi passi sempre con un certo timore. Ci sono capannelli di persone che parlano una lingua straniera. Bevono, mangiano e chiacchierano tra di loro. Forse per loro la stazione smette di essere un nonluogo e si trasforma in un luogo di aggregazione per sentirsi più vicino a casa.

Ci sono le solite persone che ti chiedono una sigaretta od un euro ed ogni volta ti chiedi che cosa sia andato così storto nella loro vita per ritrovarsi in quelle condizioni. Si tratta di una scelta consapevole o è frutto di sfortuna o malasorte? Non sono mai riuscito a darmi una risposta e non ho mai trovato il coraggio di fermarmi e parlarci. Per capire.

Ci sono quelle persone che si muovono con il passo accelerato. Qualcuno perché deve necessariamente salire su un treno che non può perdere. Altri perché si sentono sempre in dovere di correre, di non perdere tempo. Di fare migliaia di cose per sentirsi vivi. E mentre corri tutto passa e non ti accorgi.

Ci sono le persone al telefono. Sempre divisi nelle due grandi categorie degli stanziali e dei peripatetici. I primi stanno fermi sulla mattonella per tutta la durata della conversazione mentre i secondi percorrono distanze incredibili mentre intrattengono i loro interlocutori.

Ci sono i bambini per i quali il treno è ancora un oggetto magico nella sua maestosità. Da piccolo io stesso lo ritenevo uno dei più grandi capolavori della ingegneria. Il mio sogni era incontrare chi lo aveva progettato per farmi raccontare come funziona. Nella mia ingenuità di bambino ho sempre pensato che fosse opera di una persona sola. Sicuramente un genio ed io lo volevo conoscere.

Ci sono le persone con un mazzo di fiori in mano. Da un lato questo mazzo di fiori e dall’altro il continuo sguardo all’orologio per vedere quanto manca all’arrivo della persona amata. Il telefono cellulare ha distrutto questa attesa. Non è raro sentire “A tra poco” quando l’altra persona ha certamente detto “Stiamo entrando in stazione”. Che peccato. Rovinare una attesa così incerta con la certezza dell’arrivo. Evidentemente si perdono anche quei momenti drammatici in cui la persona non arriva ed il mazzo di fiori ciondolava inerte in fondo al braccio avendo perso la sua funzione.

Ci sono le persone che si muovo in gruppo e che condividono la gioia di una vacanza. Come è naturale che sia sono gruppi più rumorosi degli altri ma, se non altro, sembrano essere più felici in quel momento.

Ci sono i grandi addi. Alla città, ad un lavoro, ad una persona e, per contro, ci sono i grandi ricongiungimenti.

Ci sono troppe storie in una stazione. Ne viene sopraffatto e arriva il momento in cui salire sul treno e partire ti restituisce una certa sicurezza.

Letture da non perdere!

Operational Transparency: make customers happier by showing your work

Perché è interessante: Credo che questo articolo metta in evidenza un aspetto molto spesso trascurato ma interessante. L’esperienza dei tuoi clienti potrebbe migliorare se tu rendessi trasparente il modo in cui eroghi il servizio. Quante aziende Italiane potrebbero permettersi una iniziativa di questo tipo? Interessante punto di vista.

Dove lo posso leggere?: Operational Transparency: make customers happier by showing your work


The dark shadow in the injunction to ‘do what you love’

Perché è interessante: Cosa spinge l’uomo a svolgere un lavoro? “Do what you love” regnava in un luogo in cui ho lavorato in passato e, come questo articolo dimostra, racchiude un enorme pericolo evidente ed uno più subdolo che purtroppo non viene troppo evidenziato.

Dove lo posso leggere?: The dark shadow in the injunction to ‘do what you love’


Malati di scrittura internettiana

Perché è interessante: Viene descritto in maniera molto precisa l’impulso che guida i più all’utilizzo della scrittura sui social network e la sua natura. Se vogliamo spiega perché sono fuggito da Facebook e mi sono rifugiato in questo luogo forse meno visibile ma non per questo meno significativo.

Dove lo posso leggere?: Malati di scrittura internettiana


McKinsey Exists Because CEOs Are Cowards

Perché è interessante: Qualche giorno fa è uscito un articolo dal titolo “How McKinsey Destroyed the Middle Class” e lo ho trovato interessante anche se non ne condividevo in toto la tesi. In questo articolo Eric J Scholl spiega meglio di me il mio pensiero a riguardo. Una lettura illuminante sul ruolo delle società di consulenza nella società moderna. La consulenza è utile se e solo se porta con sé soluzioni e valore reale. In caso contrario deposita solo corpi non senzienti tra le mure dei clienti.

Dove lo posso leggere?: McKinsey Exists Because CEOs Are Cowards


Boycotting Amazon Won’t Work

Perché è interessante: Che il modo di Amazon di condurre le proprie operazioni, sopratutto nell’ambito del fullfilment è un dato di fatto. Questo articolo è interessante perché dimostra come l’idea di boicottare un colosso come Amazon sia ingenua e, invece, richieda un approccio molto più radicale che non può fare a meno dell’intervento dei governi.

Dove lo posso leggere?: Boycotting Amazon Won’t Work


Prigioni

Nel tentativo di regolare la vita dei cittadini in modo che nessuno di loro possa approfittare delle pieghe del sistema a proprio vantaggio, abbiamo infine costruito un sistema talmente complesso da renderne impossibile una visione di insieme.

Se possiedi una società devi rispettare una enorme quantità di norme che garantiscano la sua integrità. Norme fiscali, sul lavoro, sulla sicurezza, sull’ambiente per non parlare di eventuali certificazioni. Se poi hai deciso di costruire qualcosa di tangibile la situazione peggiora. La cosa perversa è che nessuno è più in grado di districarsi in questa selva oscura di norme e tributi e per questo hai necessariamente bisogno di aiuto.

Hai bisogno del commercialista perché ti aiuti con la tua fiscalità, dell’esperto sulla sicurezza sul lavoro. Se ti vuoi certificare hai bisogno dell’esperto di turno. No, le paghe ed i contributi non le fa il commercialista, hai bisogno di un’altra società che se ne occupi.

La cosa perversa è che per pagare una tassa devi pagare qualcuno che ti aiuti a pagarla raddopiando quindi lo sforzo.

Non che nella vita privata vada meglio.

Per la nostra dichiarazione dei redditi abbiamo bisogno di un commercialista o, nella migliore delle ipotesi, di Centro di Assistenza Fiscale. Non siamo in grado di capire come calcolare semplicemente la tassa sui rifiuti. Se ci proviamo ad avvicinare al calcolo di una ipotetica pensione abbiamo bisogno di qualcuno che abbia vinto la medaglia Fields.

Io sono sempre stato convinto del fatto che uno stato debba essere semplice. Deve essere semplice per potere essere in primo luogo credibile. Deve essere semplice perché davvero venga offerta ai cittadini la possibilità di vivere una vita all’interno di un sistema sostenibile.

Oggi, purtroppo, sei colpevole a prescindere. Una sorta di peccato originale. L’insieme di regole che devi sottostare è talmente complesso ed articolato che comunque, più o meno volontariamente, sbaglierai e verrai punito.

E’ come vivere in prigione, ma senza l’ora d’aria.

E dire che gli strumenti per semplificare e rendere tutto più efficente ed efficace esistono da decenni. Anche solo quelli del design senza andare tanto lontano.

Le occasioni perdute sono sempre un peccato.

Radio

E’ venerdì e sono le otto di sera. Questa settimana si è oramai consumata ed inizia il fine settimana. Sto camminando verso il parcheggio dove ho lasciato la mia macchina. In un locale incontro dei ragazzi dello studio. Stanno bevendo un aperitivo. Lancio una battuta sciocca prima che si sentano in dovere di invitarmi al loro tavolo. Sorrido.

Ci sono i soliti pensieri. Devi andare a prendere i ragazzi a casa per il fine settimana. C’è quel messaggio di posta elettronica che avresti dovuto scrivere. Numeri che devi controllare. La mente è ancora piena del contenuto della settimana appena trascorsa. Una sorta di limbo prima dei due giorni di riposo.

Salgo in auto. Invece di cercare qualcosa di nuovo su Spotify per accompagnarmi nel mio tragitto verso casa accendo la radio e mi tuffo nel traffico del centro. Gente di fretta, persone in auto che suonano nervosamente il clacson. Persone arrabbiate, sopratutto con se stessi.

La radio è diversa. Non sai che cosa passerà. Ogni tanto mi piace e, come cantava Ligabue, ogni tanto sembra sapere chi sei.

E infatti…

They hung a sign up in our town
“If you live it up, you won’t live it down”

In un istante vengo catapultato indietro di ventun anni. La voce di Tom Waits e quella canzone che scatena un ricordo vivido e reale. Il panorama davanti a me sembra mutare. Guido come un automa perché oramai sono tornato al ricordo di quella sera e di quella canzone.

So she left Monte Rio, son
Just like a bullet leaves a gun
With her charcoal eyes and Monroe hips
She went and took that California trip

Ricordo dove mi trovavo. Un locale sui navigli che non credo esista nemmeno più. Ora quel luogo è tutto pettinato, come altre zone a Milano. Ricordo le luci soffuse ed i tavoli di legno. Le sedie spaiate. L’odore di birra e di alcolici. Il vocio di sottofondo. E mi ricordo di te.

Oh, the moon was gold, her hair like wind
Said, “don’t look back, just come on, Jim”

Ricordo che ci tenevamo per mano mentre io bevevo il mio bicchiere di Calvados e tu un Negroni. A quel tempo pensavo che il Calvados fosse una scelta originale. Un cliché originato da tante letture, così come le mie sigarette di allora. Pall Mall. Anche loro scelte perché erano le sigarette che fumava Charles Bukowski.

Oh, you got to hold on, hold on
You gotta hold on
Take my hand, I’m standing right here, you gotta hold on

Le guardavo le tue mani. Erano uniche. Le ho sempre trovate incredbilmente belle nella loro forma e nel calore che avevano. Le unghie corte delle tue dita e l’assenza di smalto le donavano una naturalezza che mi incantava. Le linee perfette. Incredibile armonia.

Well, he gave her a dimestore watch
And a ring made from a spoon
Everyone’s looking for someone to blame
When you share my bed, you share my name

Di quella sera ricordo anche come eri vestita. Una camicetta di cotone bianca dalle maniche corte ma arrotolate sin sopra il gomito. Dei pantaloni blu e delle scarpe blue con il tacco alto. Sei sempre stata molto più elegante di me nella tua semplicità. Ti invidiavo molto per questa tua naturalezza nel sapere vestire.

Well, go ahead and call the cops
You don’t meet nice girls in coffee shops

Come sempre accadeva in quei mesi parlammo e ridemmo senza fermarci un attimo. Era quasi una sfida nel saltare da un argomento all’altro. Fare collegamenti. Lasciare che ci rivelassimo l’un l’altra ancora un pò di più. Non credo che allora sapessi cosa fosse l’amore, e nemmeno ora lo so. Ricordo solo che allora non volevo fosse null’altro di diverso.

She said, “baby, I still love you”
Sometimes there’s nothin’ left to do

Mesi dopo tu mi dissi quasi quelle stesse parole. Non capii.

Oh, but you got to hold on, hold on
Babe, you gotta hold on and take my…

Ed in fondo ha ragione Tom.

You gotta hold on, Alessandro, hold on.

L’esperienza della lettura

Credo che sia chiaro a tutti che io sono un avido lettore. Online ed offline.

In questo post, frutto della ennesima frustrazione, vorrei lamentarmi della scarsissima qualità della esperienza di lettura online. Quelli che si salvano sono veramente pochi. Si contano sulle dita di una mano.

Vediamo cosa accade:

  • Carichi la home page del sito di informazione che vuoi consultare e istantaneamente la sua home page è nascosta dal solito pippone sui cookies. Alcuni sono incredibilmente invasivi, altri meno. Ora, io comprendo perfettamente che si tratta di un requisito di legge e che tu come editore lo devi rispettare. Però, che palle. Ancora una volta l’abuso di una tecnologia conduce ad una pessima esperienza utente.
  • Arrivi finalmente sulla home page ma il background della pagina si trasforma in un messaggio pubblicitario che invade nuovamente tutto lo spazio disponibile esortandoti a comprare la nuova vettura di cui non ha bisogno. Nervosamente cerchi il bottone per chiudere il messaggio pubblicitario che il caro Visual Designer ha colorato con un gradiente del tutto simile allo sfondo ottenendo l’effetto di renderlo invisibile. Lo so caro Visual Designer, ti hanno imposto di farlo. Tu sei un duro e puro e non lo avresti fatto mai di tua spontanea volontà. Però, che palle.
  • Cominci a scorrere la home page e magicamente dal fondo della pagina compare un altro messaggio pubblicitario che invade un terzo dello spazio disponibile. Ancora una volta non riesco a capire che cavolo c’è nella home page. Che palle.
  • Continuo a scorrere e nell’angolo superiore destro c’è un riquadro con uno dei tuoi video. Ne leggo il titolo e non mi interessa. Continuo a scorrere e quel video rimane sempre nella angolo superiore destro e, oltretutto, in riproduzione. In questo modo mi nascondi parte del contenuto della colonna di destra. Che palle.
  • Magicamente riesco a leggere i titoli dei tuoi articoli e, incredibilmente, ne trovo uno che mi interessa. Ci clicco sopra e vengo catapultato nella pagina dell’articolo. Ci metto venti secondi a capire dove cavolo hai nascosto il testo in mezzo a sette milioni di messaggi pubblicitari. Che palle.
  • Il tuo articolo è interessante ma non ha questa grande lunghezza. Nonostante questo mi costringi a premere quattro volte un pulsante “Successivo” perché, ovviamente, con i tuoi inserzionisti ti devi ballare del numero di pagine viste. Che palle.
  • Accidenti, nel tuo articolo c’è un video che riporta parte della intervista alla persona di cui mi interessava leggere. Clicco sul video e prima che io possa avere accesso al contenuto del video parte un messaggio pubblicitario che sembra interessarsi alla mia flora intestinale. La mia flora intestinale funzionava benissimo prima che io decidessi di consultare il tuo sito. Ancora, che palle.
  • In generale fai il furbetto vestendo i tuoi annunci pubblicitari con lo stesso stile del contenuto degli articoli cercando di ingannarmi. Poche cose mi fanno incazzare di più di chi prova a prendermi in giro senza riuscirci. Che palle.

La sintesi è che alla fine la somma della rottura di palle supera la mia volontà di fruire di quel contenuto e abbandono.

Ora, è ben chiaro che tu fai tutto questo per fare quadrare i numeri della tua azienda ma credo che sia arrivato il momento di fermarci a pensare se questo modello possa essere ancora sostenibile. Io ritengo che la qualità possa essere sacrificata fino ad un certo punto.

In un certo qual modo questo mi fa apprezzare di più il quotidiano di carta dove la pubblicità è ancora ben identificabile e non invade il contenuto che mi interessa.

Svizzera – Italia: 3-1

Mi prendo qualche minuto per fare una considerazione.

Abbiamo una entità legale in Svizzera ed una in Italia. Più o meno il 65% dei dipendenti insiste sulla entità Svizzera ed il restante 35% sulla entità Italiana. Il resto della nostra presenza all’estero impatta poco sul tema.

Il teorema di Pareto si applica perfettamente alla situazione. L’80% del mio sforzo si spende per gestire le menate della entità Italiana.

Non passa giorno che io debba soddisfare qualche astrusa richiesta da parte di un qualsiasi ente Italiano. Richieste che funzionano solo a carta, tanta. Inutile dire che il beneficio che io ne traggo è assolutamente marginale e trascurabile.

Mi conforta il fatto che io posso ribaltare le mie menate pari pari sul mio azionista di maggioranza che, grazie al cielo, mi garantisce un supporto assoluto.

Mi domando come faccia una startup Italiana a fare il lavoro che si è imposta di fare quando viene costretta ad un percorso ad ostacoli che aumenta sempre di più in complessità.

Per contro la Svizzera è di una semplicità assoluta. Poche cose, ben chiare e senza alcun dubbio di interpretazione.

Mi dispiace ma Svizzera batte Italia 3 a 1.

Quantified Self

Io porto al polso un orologio Garmin Fénix 6. L’orologio registra il mio battito cardiaco durante tutta la giornata così come il consumo di calore. Se corro sa che percorso ho seguito, il numero di passi, la cadenza, la variazione del mio battito cardiaco. Di notte registra la durata e la qualità del mio riposto. Il mio telefono è pieno di sensori. La mia casa misura in tempo reale la temperatura su tutti i piani, la luce che è presente nella stanza, l’utilizzo della corrente da parte di alcuni elettrodomestici, conosce in qualsiasi momento la stanza in cui mi trovo. Registro in tempo reale il tempo che passo in macchina, in ufficio od in qualsiasi altro luogo. La mia bilancia registra ogni giorno il mio peso ed il mio indice BMI.

Si chiama quantified self. Tecnicamente potremmo definirla la possibilità di conoscere sé stessi più profondamente grazie a sensori che misurano diversi aspetti della nostra vita.

Sono tanti oggetti diversi costruiti da produttori diversi. Faccio un rapido conto dei produttori a cui ho affidato parte dei miei dati personali: Apple, Garmin, Fitbit, Philips, Amazon, Google, Sonos, Sony, DLink tanto per citarne alcuni.

La prima cosa da considerare è che la maggior parte dei dati raccolti da questi oggetti non vive su sistemi di cui ho il controllo. Vive su sistemi che appartengono a quei produttori.

Nonostante tutte le rassicurazioni produttori non sono in grado di sapere come quei dati vengono gestiti e che uso ne viene fatto. Non ho mai speso un solo minuto del mio tempo nel leggere i termini e le condizioni legate al servizio cui mi stavo registrando per potere leggere quei dati.

Sempre di più mi sto rendendo conto che questa è una leggerezza enorme. Sto volontariamente cedendo informazioni personali, spesso relative alla mia salute fisica, in cambio della gestione di un logo di eventi di misurazione di una certa grandezza. Decisamente poca roba rispetto al vantaggio che ne ricavo.

Questo è il primo punto da considerare.

Il secondo punto da considerare risiede nel fatto che ogni oggetto che misura qualcosa ha la sua applicazione dedicata. Quindi da un lato i soggetti che posseggono informazioni su di te aumentano e dall’altro non esiste un solo luogo che centralizza queste informazioni per darti una visione di insieme.

Non ho quindi una visione del mio Quantified Self ma, piuttosto, una enorme serie di Quantified Self diversi che non si parlano tra di loro.

Comincia a venirmi il dubbio che non ne valga la pena.

Per questa ragione ho cominciato a pensare che avrei voluto avere una mia copia di quei dati. Per questo ho integrato il maggior numero di sensori si questa piattaforma: homeassistant.io

Questo è stato possibile solo per quei prodotti che espongono delle API verso l’esterno che permettano di estrarre informazioni dalla piattaforma proprietaria. Quasi tutti di quelli che ho citato lo fanno, fatta esclusione per Apple che espone poco o nulla.

Infine, è quindi circa un anno e mezzo che colleziono questi dati e, alla data di oggi, mi ritrovo con circa un centinaio di gigabyte di informazioni personali. Questa enorme mole di dati è ancora del tutto inutilizzata. Sostanzialmente sta lì a prendere polvere digitale.

Concludendo ci sono tre aspetti fondamentali da considerare:

  1. Per misurarci stiamo cedendo dati sensibili senza, almeno per quanto mi riguarda, avere piena consapevolezza dell’uso che di questi dati viene fatto.
  2. I dati sono frammentati su un alto numero di ecosistemi che non sono tra loro integrati. E’ possibile integrarli ma con strumenti che, al momento, non sono alla portata di chiunque.
  3. Anche ammesso che si possano aggregare questi dati non esiste alcun prodotto o servizio che possa fornire informazioni estratte dai dati che sono raccolti. Spazio di opportunità per una startup?

Design Studio

Ecco un altro trend rilevante, sopratutto per le grandi aziende.

Sono sempre più le richieste che ci vengono rivolte per aiutare a costruire un Design Studio che sia in grado di internalizzare alcune delle funzioni che generalmente sono ricercate all’esterno dell’azienda.

Non è una cattiva idea.

Come sempre tutto dipende dal significato che si intende dare al termine Design Studio e alle funzioni che questo è chiamato a svolgere. Come per la trasformazione digitale parlare di Design Studio non significa molto, o significa tutto.

Il Design Studio può giocare un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione di una azienda e per questa ragione è buona cosa che le aziende comincino a fare questo genere di riflessioni.

Il termine può essere declinato in una infinità di modi ed ognuno di essi ha implicazioni diverse. Il tema è assolutamente legato a quello della cultura aziendale. Se la cultura aziendale non è allineata allo scopo che si intende dare al Design Studio questo sarà un esercizio votato al fallimento.

Ancora una volta non esiste una ricetta che valga per tutti. Ogni iniziativa di questo genere deve essere costruita ad hoc in funzione di una enorme quantità di parametri. Prendere cinque designer, metterli in una unità che si chiama Design Studio e aspettarsi da loro la magia non funziona.

Io credo che ci siano due estremi nella definizione del ruolo del Design Studio:

  • Una funzione strategica. Utilizzando gli strumenti del design fare in modo che il Design Studio identifichi i problemi esistenti nell’ecosistema di prodotti e servizi e proponga delle soluzioni. Allo stesso tempo affidargli una funzione di ricerca e sviluppo che gli permetta di identificare quei segnali deboli che saranno chiave per lo sviluppo dell’azienda.
  • Una funzione tattica. Progettazione di un insieme di touchpoint fisici e digitali che sono espressione dell’insieme di prodotti e servizi dell’azienda.

Tra questi due estremi c’è un universo di sfumature.

Chiaro è che più ci si avvicina alla funzione strategica maggiore sarà l’impatto del Design Studio all’interno della azienda.

Perché un Design Studio possa funzionare sono necessarie alcune condizioni chiave:

  • Selezionare le persone giuste. Questo è un tema assolutamente chiave. Purtroppo la maggior parte dei responsabili delle risorse umane non sono assolutamente in grado di selezionare questo genere di persone. Fanno le domande sbagliate, non parlano la lingua dei designer e non sono in grado di spiegare che cosa queste persone andranno a fare all’interno della azienda. Noi stessi facciamo grande fatica a selezionare le persone giuste, figuriamo chi non vive in questo magico mondo.
  • Il Design Studio deve essere posizionato molto in alto nell’organigramma aziendale. Idealmente la persona che lo guida dovrebbe essere una prima linea dell’amministratore delegato. Anche in questo caso la selezione della persona giusta è chiave per il successo. Questa persona deve essere un leader di fatto e non un leader imposto. Se non viene dal mondo del design farà una fatica immane a fare riconoscere il suo ruolo alle persone.
  • Il responsabile del Design Studio deve essere in grado di evitare in maniera assoluta meccanismi del tipo comando e controllo. Deve essere un confronto continuo tra temi di design e temi di business. Deve essere un ufficiale di collegamento con grandi capacità relazionali.
  • Deve avere un luogo che sia adatto alla funzione che svolge. Se lo mettete dietro quattro scrivanie non funziona. Ogni professione ha un luogo ideale per volgere le sue attività. Questo vale anche per il Design Studio.
  • Il Design Studio deve avere il potere di difendere le proprie scelte. Se si progetta qualcosa all’interno del Design Studio quello che poi si vede in produzione deve essere la stessa cosa.
  • Il Design Studio deve strutturarsi nei suoi processi in modo che possa interfacciarsi in maniera efficace con gli altri dipartimenti all’interno dell’azienda. Questi processi devono essere formalmente espressi e comunicati all’esterno.
  • Il Design Studio deve diffondere la cultura del design all’interno dell’azienda. Non deve limitarsi ad essere una scatola nera che fa solo dei bei disegnini.
  • Il Design Studio deve cercare di contenere il suo ego. Deve avere la capacità di comprendere le posizioni delle altre componenti aziendali e capirne i razionali. E’ un lavoro da casco blu. Devi essere un mediatore nato per avere successo.
  • Il Design Studio deve esporre in maniera chiara la sua capacity verso l’esterno.

Io ritengo che solo in questo modo si possa avere una qualche possibilità di successo.

Oltre a questo è una questione di cultura aziendale. Costruire un design studio senza fare in modo che la cultura aziendale sia allineata è la migliore ricetta per un fallimento clamoroso.

Smart Contracts e censura

Leggo che è stato creato uno Smart Contract su Ethereum che nel codice sorgente riporta la biografia del Dottor Wi Wenliang che per primo aveva dato notizia della presenza del Coronavirus e aveva tentato di avvisare le autorità. Il Dottor We Wenliang è venuto a mancare a causa delle complicazioni indotte dal fatto di avere contratto il virus durante la cura dei suoi pazienti.

La notizia è interessante. Ne potete leggere una versione qui e visualizzare lo Smart Contract qui.

La notizia è interessante sopratutto relativamente al contesto in cui nasce ed al paese in cui avviene, la Cina. Dopo l’annuncio della morte del Dottor Wi Wenliang la notizia raggiunge velocissimamente la prima posizione sul portale Weibo, una delle più grandi piattaforme social in Cina. Dopo qualche minuto la notizia scende in settima posizione per poi scomparire per sempre nonostante le centinaia di migliaia di visualizzazioni.

Naturale pensare che ci sia stata una qualche sorta di intervento umano per fare scendere quella notizia e, quindi, nasconderla. Censura? Possibile e probabile.

La creazione dello Smart Contract è notizia altrettanto interessante perché caratteristica di uno Smart Contract è quella di essere immutabile. Non è cancellabile o modificabile. In linea di principio potrebbe autodistruggersi se costruito in modo che lo faccia e non è questo il caso.

Questo significa che sino a che esisterà la possibilità di consultare la blockchain Ethereum quello Smart Contract resterà lì per sempre, immutabile.

Se ne andate a vedere il codice troverete qualcosa che somiglia ad una lapide con una iscrizione in cinese. Purtroppo non conosco il cinese e quindi mi devo affidare a quello che mi viene detto da Google Translate:

DL Li Wenliang (1986-2020), male, Jinzhou, Liaoning Province
“LE Graduated in Clinical Medicine from Wuhan University, Ophthalmologist of Wuhan Central Hospital
Li Wenliang first issued to the outside world on December 30, 2019
New Coronavirus (2019-nCov) protection warning, is the epidemic whistleblower
It is also one of the” Eight Gentlemen of Wuhan “who has been instructed by public security organs for making rumors
Early February 7, 2020
Dr. Wenliang Li died of severe coroner virus infection at the age of 34 due to infection with a new coronavirus
As of February 7, 2020 9:49
National New Coronavirus Infected
31211 confirmed diagnoses, 26359 suspected, 637 dead W For everyone who pays, do not let it freeze in the snow Free pathists, don’t let them get stuck in thorns The admonition is as follows:
We hope you calm down and reflect, and solemnly warn you:
If you are stubborn, don’t think about repentance, and continue illegal activities,
You will be punished by the law! Do you understand me?”
At that time, it was Dr. Li Wenliang’s exhortation to the incumbent and the whole society at the cost of life
Qin people are too lamented to mourn, and later people mourn
Later generations mourn without learning, but also make future generations mourn later generations
February 7, 2020

Un pochino una porcheria ma il senso si capisce. Questo scritto rimarrà li per sempre e non sarà possibile censurarlo.

Quindi una ottima cosa verrebbe da pensare. Certamente sì perché l’interpretazione che diamo a questo in funzione delle notizie che abbiamo ci permettono di capire il contento. Una persona è morta, se ne è data notizia, la notizia è stata censurata.

Ci penso un pochino e rifletto su un fatto: se la sequenza di eventi non fosse stata questa che valore avremmo potuto dare alla pubblicazione di questo Smart Contract?

Mi spiego meglio. Immaginate che contestualmente alla generazione di questo Smart Contract ne fosse stato generato un altro che smentiva la morte del Dottor Li Wenliang. Pensate se la generazione dello smart contract fosse avvenuta addirittura in anticipo.

In questo caso come faremmo a discernere la verità dalla menzogna?

Difficile, direi.

Affermare quindi che la blockchain, ma in particolare gli Smart Contracts, possa essere utilizzata per sconfiggere la censura è una affermazione decisamente sensata sebbene debba essere presa con le pinze viste le considerazioni di cui sopra.

Letture da non perdere!

Inauguro da oggi una nuova rubrica: Letture da non perdere!

Si tratta di una raccolta curata di contenuti che ho trovato interessanti e che ho ritenuto valesse la pena condividere con chi mi leggi. Pochi, selezionati e significativi e, va da sé, letti per davvero dal sottoscritto.


‘Observe everything’: Neil Gaiman’s celebration of culture’s journey from science to knowledge

Perché è interessante: Un corto che è una poesia assoluta. Basato su una poesia di Neil Gaiman. Vi ispirerà.

Dove lo posso leggere?: ‘Observe everything’: Neil Gaiman’s celebration of culture’s journey from science to knowledge


The one reason we won’t stop facial recognition

Perché è interessante: Viene sostenuto un punto di vista interessante. Il maggior nemico della nostra privacy siamo noi stessi. “We’re willing to trade privacy for, well, almost anything. For convenience.” Questa credo sia una grande realtà e, purtroppo, è invincibile. Questo almeno fino a che qualcuno non ci dimostrerà il vero significato della gestione della nostra privacy.

Dove lo posso leggere?: The One Reason We Won’t Stop Facial Recognition


Watch a Mother Reunite With Her Deceased Child in VR

Perché è interessante: Nel prossimo futuro la realtà virtuale giocherà un ruolo fondamentale nella nostra vista di ogni giorno. L’utilizzo che è stato fatto in questo caso, ovvero dando la possibilità di dare ad una madre la possibilità di interagire con la propria figlia scompare ha implicazioni etiche enormi. Dovrremo interrogarci su come rispondere a queste questioni.

Dove lo posso leggere?: Watch a Mother Reunite With Her Deceased Child in VR

Spunti di riflessione simili:

Alberghi

Leggo oggi uno splendido articolo sulla storia e sulla ricostruzione dell’albergo Waldorf Astoria di New York. Lo scrive Laura Leonelli su domenica del Il Sole 24 Ore. Splendido ed evocativo scritto.

Ho avuto modo stare a New York molto spesso e quell’edificio me lo ricordo perfettamente. La sua architettura Art Déco mi ha sempre colpito ed affascinato così come il suo interno.

E’ un albergo nel quale sono scese alcune delle personalità più importanti del mondo sin dal momento della sua inaugurazione nel 1931.

Henry Ford, Thomas Edison, Sir Thomas Lipton, Henry Firestone, Charles Schwab, Walter Chrysler, George Eastman, Thomas Wilson, Elsa Maxwell, Cole Porter, Marilyn Monroe, Alcide de Gasperi, Herbert Hoover, Dwight Eisenhower, Viaceslav Molotov, Louis B. Mayer. Potrei continuare all’infinito toccando qualsiasi esponente della cultura, della politica e del mondo degli affari.

Al tempo del suo massimo splendore fu definito: palace for the public, and stage for the wealthy.

Il Waldorf Astoria è una delle massime rappresentazioni della funzioni di un albergo. Ho sempre considerato gli alberghi come dei luoghi magici e densi oltre misura di storie incredibili.

Non solo gli alberghi di lusso ma qualsiasi albergo, compresi i più modesti o, addirittura, le pensioni. Sono sempre luoghi di incontro e di scambio. Una sorta di melting pot in cui persone e culture si incontrano e interagiscono per i motivi più diversi.

Sono quei luoghi in cui si concludono affari più o meno leciti. Persone di cultura vi si incontrano per scambiare idee o sogni. Luoghi in cui nasce o finisce un amore od una storia. In questi posti ci si sente più liberi trovandosi al di fuori dei vincoli imposti dagli uffici o dalle proprie case.

Puoi trovare l’apertura alla conversazione che ti offre il bar dell’albergo o l’intimità della camera che ti ospita. Puoi scegliere quale visibilità dare allo scopo del tuo viaggio. E’ un luogo in cui la serendipità regna sovrana.

Puoi semplicemente sederti nella hall e limitarti ad osservare le persone intorno a te e lasciare correre la tua fantasia costruendo le storie più incredibili. Immaginare trame da spy story od amori impossibili. Puoi costruire complotti politici o pensare alla creazione di accordi commerciali improbabili. Probabilmente uno dei migliori luoghi in cui uno scrittore potrebbe trovare ispirazione per i suoi personaggi.

Mi piace stare in albergo. Sin dal momento in cui varco l’ingresso comincio a costruire la mia storia. La prima conversazione con la reception comincia ad impostare il tono del mio soggiorno. Osservo il mio interlocutore, valuto quanta confidenza mi sta dando, cerco di comprendere che tipo è mentre i primi tasselli della storia che sto inventando cominciano a prendere il posto che gli spetta.

L’albergo ha una sua nobiltà implicita, quale che sia il suo rango.

Nobiltà che invece non ha il Motel al quale, grazie al cielo, è stato appiccicato in maniera posticcia un nome diverso. Il motel è un luogo vile e vigliacco. E’ il luogo frequentato da persone che non hanno il coraggio di affrontare la realtà e fare i conti con le proprie responsabilità. E la fuga dalla realtà è grandemente espressa dalla rappresentazione che viene resa dalle pubblicità. Specchi alle pareti, o sul soffitto. Lenzuola di seta (che poi sono terribili se aveta mai avuto modo di provarle). Vasche idromassaggio dalle dimensioni imperiali e colori che nessuno penserebbe mai di avere in una camera da letto. Qui non nascono storie, non ci si scambiano idee. E’ un luogo in cui la vita reale si interrompe per entrare in un limbo senza alcun futuro. Un luogo che un futuro non è nemmeno degno di averlo.

Ciondolare

Vi capitano mai delle giornate in cui faticate a dare un senso?

Oggi è una di quelle giornate.

Molto spesso mia madre mi riprendeva con una espressione: “Smettila di ciondolare e trova qualcosa di utile da fare!”. Il tono, come sempre era imperioso ed io, molto spesso, reagivo come un soldatino di fronte al comandante di battaglione.

Mi sono svegliato molto presto e con grandi intenzioni.

Sono uscito per andarmi a prendere un caffè e farmi un giro in libreria. Alla fine mi sono cacciato in un centro commerciale ed in una libreria così tanto caotica nella organizzazione che non mi regalato nessun gusto.

Tornato a casa mi sono messo a leggere la storia di Alex Elmsey, un grandissimo mago scozzese e ho guardato alcuni video. Ho resistito mezz’ora.

Volevo distrarmi con un pochino di codice per risolvere un problema che abbiamo in ufficio ma ho abbandonato quasi subito perché il parsing di un file JSON mi stava dando fastidio.

Ho acchiappato una delle chitarre ed alla fine mi sono ritrovato a suonare quelle quattro o cinque cose che oramai sono automatiche e che, di conseguenza, non ti danno tanto gusto.

Un giro veloce su Netflix senza trovare nulla di così eccitante. Ho considerato l’opzione cinema ma anche in questo caso nulla ha particolarmente attirato la mia attenzione.

Ed ora mi ritrovo a scrivere queste quattro righe che, se non altro, un minimo di senso compiuto potranno averlo.

Mai prendersi troppo sul serio!

È una citazione che ho già riportato in passato ma trovo che sia utile anche nel contesto di questo scritto.

… l’importante è sapersi prendere in giro come faceva Jacques Tati e anche non metterla giù troppo dura con questo design, prendere la società com’è.” – Achille Castiglioni

— Achille Castiglioni

La verità è che non sopporto tutti coloro che si prendono troppo sul serio. Questo è in realtà tollerabile se eserciti una professione che richiede serietà assoluta. Diciamo che se fai il cardiochirurgo devi essere assolutamente serio mentre esegui un trapianto di cuore.

Se, invece, la tua professione non è mission critical o life saving te la puoi anche menare di meno, sopratutto con gli altri ed, in particolare, con me.

Ogni tanto sarebbe utile tornare a leggere le Lezioni Americane di Italo Calvino e, tra queste, quella intitolata “Leggerezza”. Questo dovrebbe essere lo spirito con il quale si affronta ogni cosa nella vita di ogni giorno, compresa quella professionale.

Il seme di questa considerazione nacque in me una quindicina di anni fa in occasione di un pranzo con Benjamin Zander, direttore della Boston Philharmonic Orchestra. Ci fu una frase che lui mi disse durante quell’incontro e che mi rimase impressa come poche altre:

Alessandro, it is all invented!

Niente di più vero. Organigrammi, organizzazione aziendale, processi, prodotti e servizi, metodi. Insomma qualsiasi cosa è stata inventata da qualcuno con scopi più o meno nobili.

La prima conseguenza diretta di questa osservazione è che essendo una opera di ingegno non necessariamente rappresenta una verità assoluta e, quindi, non dovrebbe essere presa troppo sul serio. Iperbole. d’accordo.

La seconda considerazione chiave è che qualsiasi cosa inventata può essere modificata o sostituita da un’altra invenzione. Considerazione non da poco se ci pensate.

La realtà è che troppo spesso mi trovo davanti a persone che mi parlano di idee come se fossero verità assolute ed indiscutibili. Tanto poco discutibili che metterle in discussione ti porta davanti al tribunale della Santa Inquisizione. Questo vale per tutte le discipline ma, in particolare, per il mondo del design che frequento oramai da troppo tempo. Sono stanco di oracoli che, secondo la loro opinione, mi stanno elargendo perle di saggezza dall’alto della loro stele.

Dai, siamo d’accordo che il design risolve in maniera egregia dei problemi di business ma, in fondo, non salva la vita a nessuno. Leggerezza, ancora una volta.

A me piace volare leggero sulle cose e trovare sempre il modo di farmi una risata quando ne ho l’opportunità. Chi mi ha incontrato professionalmente lo sa benissimo. Niente, nel nostro mondo, è così grave e definitivo da non potere essere affrontato con il sorriso sulle labbra.

Io per primo non mi prendo troppo sul serio. Mai!

Di conferenze ed eventi

E’ un dato di fatto che siamo giornalmente bombardati da offerte di partecipazione ad eventi, conferenze, tavole rotonde, meetup e via discorrendo. Questo è vero sia che siate un potenziale partecipante o un potenziale speaker.

Oggi sarebbe possibile non passare un singolo giorno in ufficio semplicemente accettando di partecipare ad ogni evento al quale si è invitati. Se non aveste un lavoro e, di conseguenza, di che sostentarvi potreste vivere tranquillamente di tartine e prosecco senza spendere una lira.

Ammettiamo che questo non sia il caso. Dobbiamo quindi scegliere a chi e a cosa prestare il nostro tempo, sia come uditori che come contributori.

Io confesso che sono diventato particolarmente ostile a qualsiasi tipo di evento. Alla mia tenera età quello che ho di più prezioso è il mio tempo. Impiegare il mio tempo in cose noiose e che non mi arricchiscono mi infastidisce oltre ogni misura.

Mi trovo quindi a dovere scegliere.

Quando mi viene proposto un evento tendo a valutare chi sono gli speaker, faccio la mia ricerca e un pochino di social engineering per capire se chi parlerà ha davvero qualche idea da trasmettere e che vale la pensa di essere ascoltata.

Non sembre ciò che ottengo come informazioni mi aiuta ad evitare le sòle ma riesco comunque ad evitarne la maggior parte.

Arriva quindi il momento dell’evento e degli interventi. Ecco le cose che mi danno fastidio.

Partiamo dicendo che la durata tipica degli interventi oscilla tra i 20 ed i 45 minuti. Come fai uso di questo tempo richiedendo la mia attenzione influisce moltissimo sul giudizio che darò al tuo intervento.

Primo. Non mi puoi frantumare le palle con i primi dieci minuti in cui mi racconti chi sei e cosa fai. Se sono lì seduto io ho già fatto la mia ricerca e so già chi sei e cosa fai. In genere questa prima fase dell’intervento serve più a soddisfare l’ego di chi parla piuttosto che a fornire materiale di qualità all’ascoltatore. Evitate, per favore.

Secondo. Non mi interessa nemmeno sapere che cosa fa la tua azienda, che clienti ha, quali altisonanti progetti ha fatto, della quantità di cose di cui si occupa se nel tuo intervento parlerai solo di un frazione di queste. Ancora una volta. Ho fatto la mia ricerca.

Il tuo intervento deve andare diretto al punto. Mi deve dire subito perché a me può tornare utile. Ovviamente mi torna utile solo se contribuisce a farmi pensare e, per farmi pensare, deve contenere delle idee. In caso contrario non serve assolutamente a nulla.

Quando mi trovo a parlare io evito come la peste quelle due cose che considero peccati mortali. La mia prima slide è quasi sempre una domanda. La domanda cui intendo rispondere nel corso della mia presentazione. Le mie slide oramai tendono ad essere fatte solo di immagini, più o meno evocative. A me interessa parlare e farmi ascoltare piuttosto che avere la platea che legge le slide che sto proiettando.

Vero è che il mercato cui generalmente mi rivolgo mi permette questo lusso ma, davvero, ci sono delle slide che mi fanno davvero male alle pupille.

Ultimamente mi urta anche il meccanismo totalmente frontale degli interventi. Tu parli ed altri ti ascoltano. Forse è arrivato il momento di trovare delle alternative a questo formato che è oramai un pochino vecchiotto.

Infine, se devo scegliere, preferisco andare a quegli eventi che non sono totalmente affini al contesto in cui vivo. Trovo che, alla fine, ci si parli un pochino troppo addosso. Per trovare ispirazione vado da qualcosa che è tutt’altro da me.