nuovo notebook

Quello di carta. Quello che porto sempre con me e che riposa sul mio comodino quando dormo. Quello che è destinato a raccogliere quelle idee volanti che rischio di perdere per sempre se non ho vicino carta e penna.

Fino a ieri ho sempre usato un piccolo taccuino Moleskine ma non ne sono mai stato troppo soddisfatto. Diciamo che era un compromesso.

Per questo genere di cose sono un ossessivo compulsivo. Potremmo quasi dire che sono un feticista degli articoli di cancelleria. Difficile che entri in una cartoleria e ne esca a mani vuote.

Ieri sera suonano alla porta. Vado verso il citofono ed è un corriere che mi consegna una meraviglia che aspettavo da tempo. Un nuovo notebook.

Volevo qualcosa che avesse le stesse dimensioni della mia attuale Moleskine. Piccola perché la mia schiena comincia a soffrire il troppo peso. Volevo che avesse un tocco personale ed un pochino agé. Volevo una cosa che potesse raccogliere i segni del tempo. Cercavo qualcosa di qualità che non si distruggesse dopo pochi anni.

Dopo anni di ricerche ho trovato quanto cercavo nei prodotti di Paper Republic. Io ho comprato il Grand Voyageur [Pocket]. Esattamente delle dimensioni che desideravo e costruito con pelle di grande qualità. Ho chiesto di incidere le mie iniziali e la fattura è semplicemente meravigliosa. I notbeook che può raccogliere sono di qualità eccelsa e la carta è fantastica. Quel giusto spessore che mi dà idea di solidità ma che rimane comunque sempre molto maneggevole.

Per un disguido con le poste locali non sono riuscito ad avere i miei prodotti alla prima spedizione. Per qualche ragione si sono fatti un giro in Italia e poi sono tornati a Vienna. Ho dovuto mettermi in contatto con il loro servizio clienti e l’esperienza è stata incredibilmente piacevole ed efficace.

La sensazione che ho avuto è che si tratti di una azienda che tiene davvero ai propri clienti.

Come faccio sempre quando vivo una esperienza di valore sono andato su LinkedIn e ho scritto un messaggio di ringraziamento al loro CEO.

Pessime dinamiche

Ci sono alcune dinamiche che si manifestano su LinkedIn che trovo particolarmente fastidioso. Fatta questa premessa va detto che cerco di mantenere un comportamento educato qualche che sia il genere delle richiesta.

Una delle più fastidiose dinamiche è questa. Qualcuno mi chiede di entrare a fare parte della sua rete. In genere la richiesta avviene senza alcun tipo di messaggio di presentazione. Questo comportamento rappresenta già un primo campanello di allarme riguardo la specifica connessione.

Personalmente tendo ad accettare molte richieste non fosse altro che per aiutarmi ad uscire dalla bolla informativa che caratterizza la maggior parte dei miei contatti. Mi piace esplorare altri universi e sono convinto che la serendipity abbia un grande valore.

Accetto quindi la richiesta di contatto. In genere dopo qualche minuto ricevo un messaggio con il quale mi viene chiesto di prendere visione di una offerta, di partecipare ad un qualche tipo di webinar, di potere incontrarci per presentarmi un qualche tipo di prodotto e via dicendo.

Ora, come ho scritto, io sono molto cortese e rispondo sempre in maniera molto educata. Certo non rispondo in tempo zero. Per mia scelta personale ho disabilitato tutte le notifiche sul mio smartphone e sul mio desktop. Controllo i miei messaggi su LinkedIn una volta alla settimana, più o meno.

Rispondo quindi al messaggio cercando di circostanziare il motivo per il quale il suo contenuto non è di mio interesse. Come direbbe mio figlio: è uno sbatti. Comunque lo faccio perché ho un certo rispetto per il tempo degli altri. Se mi hai scritto ci hai comunque speso del tempo e quindi ritengo che tu ti meriti una risposta.

A questo punto, nella quasi totalità dei casi, la persona che mi ha scritto si eclissa per sempre. Nessuna risposta al mio messaggio. Nemmeno un grazie, che oltretutto trovi preconfezionato nella sezione messaggi. Niente. Nada. Nulla di nulla.

Ora, io posso anche comprendere che tu ci sia rimasto male perché la tua offerta superlativa non ha trovato spazio nella mia testa ma rimane il fatto che credo di meritarmi una risposta. Anche io ci ho messo del tempo per risponderti e credo che questo meriti un minimo di rispetto.

Io ho una ottima memoria ed il tuo comportamento me lo ricorderò per sempre. Se un giorno mi capitasse di avere bisogno di uno dei servizi che hai offerto, sappi che la tua azienda viene automaticamente esclusa dalla lista dei potenziali fornitori.

Diciamo che questo è il mio modo di punire un comportamento scorretto e poco professionale.

No, non mi piace per niente.

Photo by Greg Bulla on Unsplash

Ci hai provato…

Qualche tempo addietro mi è caduto l’occhio su questa immagine di Matteo Salvini che sbarca a Venezia per la Biennale Cinema 2020.

No, non si tratta di uno scritto che ha a che fare con la politica. Mi interessa parlare del fatto che l’abito non fa il monaco.

A causa della educazione che ho ricevuto su alcuni argomenti sono veramente un maniaco. Chi mi conosce sa benissimo che generalmente il mio modo di vestire è piuttosto sciolto. Non esito ad indossare dei pantaloni corti ed una tshirt quando ne ho voglia.

Questo non toglie che quando serve eleganza sono perfettamente in grado di gestire la situazione. In quel caso tutto il mio retaggio culturale e l’educazione ricevuta dai miei genitori ma in particolar modo da mio zio Rolando torna prepotentemente a manifestarsi.

Lo smoking non è un abito facile da indossare. Non puoi improvvisare quando lo indossi. Ci sono regole ferree da seguire.

Non entro nel merito perché è del tutto inutile, ma in questa foto di Matteo Salvini con il suo smoking ci sono almeno due errori gravi. Due errori che mia madre avrebbe sottolineato con doppio tratto blu. A volere ben guardare gli errori sono tre, sebbene il terzo sia minore. Diciamo un errore da tratto rosso.

L’eleganza è fatta di particolari. Lo smoking è fatto di particolari e di questi particolari si nutre per essere perfetto.

In sartoria si parla di petite oie che è la grande assente nella mise di Matteo Salvini mentre è quasi assoluta nella persona che lo accompagna.

Dai, Matteo, ci hai provato. La prossima volta fatti aiutare da qualcuno bravo che sappia maneggiare con cura e sapienza forbici, ago e filo. Se, in alternativa, lo smoking lo affitti, affidati a qualcuno bravo.

La sveglia

La mattina per me è sempre un momento difficile. Se è vero che le mie capacità di relazione si sono ridotte con il tempo, la mattina in particolar modo ho bisogno dei miei rituali prima di essere in grado di affrontare l’umanità nel suo complesso.

Da più di un anno a questa parte la mia sveglia è puntata alle cinque del mattino. Questo mi permette di ricavarmi degli spazi di valore all’interno di una giornata lavorativa e rende possibile una presa di contatto con il mondo esterno la più lenta possibile.

La mia sveglia non è solo un segnale acustico. Grazie agli automatismi di cui gode la mia abitazione in quel momento avviene tutta una serie di cose. Lo speaker Sonos della mia camera da letto comincia a riprodurre a volume molto basso la mia musica preferita e ogni due minuti il volume aumenta lentamente. Le lampade Philips Hue sui miei comodini cominciano ad illuminarsi simulando la luce dell’alba ed anche loro aumentano gradualmente la loro intensità. In parallelo la mia macchina del caffè macina i chicchi e comincia a preparare il mio primo caffè della giornata.

Detesto i risvegli bruschi. La mattina ci vuole dolcezza e lentezza per affrontare il mondo.

Quando ritengo di essere pronto mi alzo dal letto e mi dirigo verso il bagno per farmi una doccia. La temperatura dell’acqua deve essere prossima a quella della superficie del sole per essere efficace. Docciaschiuma, shampoo e balsamo sono il contorno della operazione.

Segue la cura dei capelli che devono assumere una forma presentabile e quando non la lascio crescere la cura della barba. Ora sono in fase di crescita della barba ma quando la devo tagliare c’è un rituale. Un balsamo pre barba per ammorbidire la pelle, la scelta della crema da barba in funzione dell’umore della giornata e la scelta del rasoio a mano libera da usare. Passo il rasoio sulla coramella e comincio a radermi con attenzione. Il rasoio a mano libera richiede concentrazione se non vuoi farti male. Questa concentrazione mi evita di pensare alle menate della giornata sin dalle prime ore del mattino. Risciaquo dei residui di crema da barba e lozione dopobarba.

Mi lavo i denti con cura e ritorno in camera per scegliere i vestiti e vestirmi.

Nel frattempo l’aroma del caffè preparato dalla macchina si è diffuso per casa ed io comincio a gustarmi il suo sapore che mi attende di sotto.

Scendo in cucina e preparo la tazza con il mio caffè. Zucchero di canna e sono pronto.

Esco in giardino a bere il caffè. Sempre, anche d’inverno. All’ora in cui mi sveglio è ancora buio ma da dietro le montagne si cominciano ad intravedere i primi raggi di sole e l’alba che sta arrivando.

Mi siedo al mio tavolino e ci metto sopra le gambe. E’ arrivato il momento. Il primo sorso di caffè. Questo particolare momento per me è il vero inizio della giornata. Tutto quello che avviene prima è propedeutico a questo istante. Il primo sorso di caffè è sempre quello più buono.

Appoggio la tazza sul tavolino e mi accendo una sigaretta. In giardino sono colpito dai profumi delle erbe aromatiche del mio orto. Il mio udito si fa cullare dal rumore delle onde del lago e la mia vista comincia ad apprezzare il sole che sorge all’orizzonte.

A parte il rumore del lago ci sono pochi altri rumori. Rimane solo il gran concerto di campane della chiesa di Laglio alle sette del mattino.

Finisco la mia sigaretta e bevo l’ultimo sorso di caffè.

Ora sono pronto per un’altra giornata.

Photo by Arash Asghari on Unsplash

La narrazione del fallimento

Mi capita ieri l’ennesimo articolo su Medium che parla della necessità del fallimento come strumento fondamentale per arrivare ad una qualche forma di successo.

Confesso che questo genere di articoli mi lascia sempre molto perplesso.

E’ innegabile il fatto che il fallimento è uno strumento utile per comprendere i propri errori e migliorare nel futuro.

La narrativa, specialmente quella Americana, dimentica un elemento fondamentale nel racconto del fallimento.

Quello che viene sempre omesso è il dolore e la frustrazione che il fallimento porta con sé. Non è affatto un elemento trascurabile.

Personalmente sono sempre stato un grande produttore di fallimenti, personali e professionali. Se da un lato è vero che mi sono sempre stati utili per comprendere i miei errori e cercare di correggerli è altrettanto vero che sono sempre stati molto dolorosi.

Questo è un aspetto che credo sia fondamentale. E’ vero che possiamo essere educati ad accettare il fallimento e trattarlo come elemento educativo. E’ altrettanto vero che è necessario educare a gestire il fallimento dal punto di vista emotivo perché altrimenti non se ne esce.

Questo aspetto è il grande assente nella narrativa del fallimento.

Ho sempre la sensazione che si tenda sempre a fare emergere sempre il lato positivo delle cose, a mostrare una scorciatoia che ci permetta di raggiungere un obiettivo in maniera più semplice.

La realtà delle cose è che spesso scorciatoie non ne esistono e, in alcune occasioni, il fallimento è una porta sbattuta in faccia senza possibilità di appello.

Qualche anno fa ho avuto occasione di pranzare con Gene Kranz, direttore di volo di tante missioni della NASA tra le quali quella famosissima dell’Apollo 13. Per curiosità chiesi della famosa frase “Failure is not an option” e mi disse che lui non la disse mai. Mi disse invece che nel caso dell’Apollo 13 nessuno si fece mai prendere dal panico, si studiarono tutte le opzioni disponibili e tra queste quella del fallimento non fu mai presa in considerazione.

La preparazione aiuta a prevenire il fallimento e, forse, aiuta a nasconderlo e a gestire la pressione.

Non sempre il fallimento può essere evitato.

Per questa ragione bisognerebbe essere preparati a gestirlo.

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Pellegrino Artusi

Da tempo coltivo la passione della cucina e mi piace spendere tempo leggendo molto sul tema.

Uno dei testi storici che mi ha affascinato di più è “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi.

Questo testo viene considerato come uno dei testi fondamentali della cucina Italiana e si tratta davvero di una lettura affascinante.

Lo stile del libro è quello del tempo. La prima edizione del libro fu pubblicata nel lontano 1891.

Se si approfondisce la storia del libro si scoprono dei dettagli interessanti. La prima edizione del libro non ebbe grandissimo successo ma questo crebbe a dismisura nel tempo.

L’approccio di Artusi alle ricette fu rivoluzionario per il tempo in cui il libro fu scritto. Artusi non si limitò a raccogliere delle ricette ma personalmente le sperimentò una per una cercando di trovare la migliore versione da presentare ai propri lettori.

Questo è solo il primo degli aspetti che rendono la storia unica.

Il secondo elemento è che il libro fu sempre un libro “vivo” tra una edizione e l’altra. Ogni edizione venne arricchita con nuove ricette e con modifiche a quelle già presenti. Oltre a questo Artusi si rese disponibile a recepire nuove ricette e consigli dai propri lettori.

Tutto avveniva attraverso lo scambio di lettere tra Artusi ed i suoi lettori.

Allo stesso tempo Artusi riceveva al proprio domicilio materie prime e prodotti che se ritenuti di livello corretto finivano all’interno del suo libro.

In un certo qual modo possiamo dire che Artusi fu un prototipo del moderno “influencer”, ammesso che questo termine possa avere un significato.

Oggi potrebbe essere ritenuto un food blogger.

Ecco, questa è una storia affascinante.

Minitel!

Photo: SSPL/Getty Images

Nel mio feed di ieri è comparsa l’immagine che vedete in alto, ed è stato un immediato salto nel passato di circa 30 anni.

L’articolo cui fa riferimento questa immagine parla della nascita del sistema Minitel come primo tentativo di digitalizzazione consumer. L’articolo originale lo potete trovare qui. E’ una lettura interessante, sopratutto per quanto attiene alla nascita politica del sistema.

A quei tempi lavoravo per una software house di proprietà di International Computer Limited, ICL per chi se la ricorda. Mi occupavo di sviluppo software e di supporto alle vendite.

Mi capitò quindi di assumere la responsabilità dello sviluppo, del supporto alla vendita ed al supporto post vendita del sistema che ICL creò come soluzione per la creazione di sistemi basati su Minitel. Il prodotto si chiamava AVICL.

Era, e parliamo del 1993, una figata pazzesca. AVICL era completamente scritto in C su sistemi Unix AT&T System V di cui ICL aveva una sua implementazione fighissima. Aveva un suo linguaggio basato sulla gestione di eventi generati dal sistema o dall’utente che veniva esposto allo sviluppatore tramite un compilatore chiamato Avimac.

Il cuore di Avimac era una sintassi che fu sviluppata usando lex e yacc. Li ricordo ancora con grandissimo affetto, nonostante la sintassi ostica ed alcuni comportamenti non proprio lineari. Non c’erano libri allora ma solo la cara e vecchi linea di comando ‘man’ ed i manuali di ICL. I manuali tecnici di ICL erano un vero capolavoro. Mai più letto nulla di meglio fatto dal punto di vista tecnico.

Avicl girava su due classi di macchine. La serie DRS 6000, basata su architettura SPARC e fantastici dischi SCSI, e la serie DRS 3000 basata su architettura Intel 486. Due sistemi che erano una bomba.

A quei tempi non esisteva git e per il versioning si usava a mani basse SCCS, Source Code Control System. Coloro che dicono che git è complesso si facciano un giro sui manuali di SCCS per capire che cosa è una cosa davvero complessa. Era un mostro con una naturale tendenza a diventare ingovernabile.

Nella galassia ICL eravamo solo tre persone nel mondo ad occuparci di questo sistema. Io in Italia e due francesi di stanza in Spagna. Il codice contava qualcosa come 115.000 righe di codice.

Minitel faceva uso del protocollo X.25 per permettere agli utenti di collegarsi. Per usare X.25 sui sistemi DRS dovevi comprarti una scheda dedicata che ti permettesse di interfacciarti con la rete X.25 pubblica. In Italia c’era Itapac (chi si ricorda la caccia alle NUI di Itapac?) e per poterci chiacchierare la tua scheda doveva essere certificata dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Fui io ad occuparmi della certificazione della scheda X.25 di ICL per il mercato Italiano. Da buon sistemista mi feci mandare tutto il protocollo di test dal ministero e scrissi tutti i test case da utilizzare durante la certificazione. Mi prenotai lo slot per la certificazione e mi prenotati anche un albergo a Roma per la settimana dei test. Ingenuo. Il giorno in cui doveva partire la certificazione avevo il mio sistema pronto a Milano ed una scheda con me. Potevo collegarmi in remoto al mio sistema con una connessione dial-up a 9600 bis dalla quale potevo accedere al terminare del mio DRS 6000. Il tecnico del ministero mi accolse ed io cominciai ad esporgli il mio piano di test. Ricordo che mi guardò con aria perplessa. Dopo avermi fatto un sorriso mi disse: “Avete pagato il costo del test al ministero?”. Io risposi di si e gli diedi evidenza del pagamento. Mi disse semplicemente: “Ci vediamo tra cinque giorni per i risultati dei test.”. Controllai cosa stava avvenendo sul sistema ma per cinque giorni non notai alcuna attività. Al termine del quinto giorno tornai al ministero che mi diede copia fisica della certificazione senza che alcun test fosse stato eseguito.

Alla fine credo che in Italia siano stati venduti cinque o sei sistemi. Il prezzo era molto alto rispetto alla concorrenza e nessuno sapeva mettere le mani su un sistema Unix per gestirlo.

Confesso che è stata una delle cose più belle cui ho lavorato in vita mia. Ho imparato così tante cose sulla architettura di Unix che ancora oggi mi tornano utili.

Di nuovo in aula

In questo caso parlo di me.

In questi due giorni sto frequentando un corso in cui si discorre di Agile Human Resouces. Interessante notare come molte delle cose di cui si parla fanno già parte del nostro bagaglio di cultura aziendale da tempo.

Come Luca mi ha fatto osservare questi due giorni ci sono comunque utile per organizzare tante delle cose che facciamo in un modo più struttura in ottica HR.

A parte questo mi sono ritrovato per la prima volta in un’aula con altre persone dopo il lockdown.

Devo confessare che è stata una esperienza molto particolare.

Questa mattina sono sceso nella hall dell’albergo per raggiungere l’uscita e fumarmi una sigaretta. Avevo con il mio zaino. Al momento del mio rientro lo zaino mi è stato “sanificato” con del disinfettante spray.

Io stavo già indossando la mascherina e sono stato invitato a lavarmi le mani con il gel disinfettante.

In aula si entra solo con la mascherina e la si deve tenere sul volto per tutta la durata del corso.

La pausa caffè è strettamente regolata dalla distanza sociale e dall’uso della mascherina. I classici buffet sono scomparsi e tutto viene servito dal personale su richiesta.

Per quanto riguarda il pranzo ci sono solo tavoli da due persone tra le quali la distanza è superiore ad un metro.

Il corso sarebbe stato decisamente più interattivo nella sua versione originale. Ci si sarebbe dovuto dividere in gruppi e lavorare attivamente sul materiale del corso. Questo non è stato possibile e quindi il tutto è diventato molto più discorsivo e meno “pratico”. In termini di contenuti non credo abbia perso molto, almeno per coloro che un pochino di agile già lo masticavano. Per gli altri credo che sia tutto sommato meno efficace.

La parte di puro networking ne soffre parecchio e tutti siamo un pochino timorosi, correttamente aggiungo, nei contatti con gli altri.

No, non è certamente come prima ma mi sembra che sia la migliore approssimazione possibile dato il contesto in cui ci troviamo.

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Primo giorno di liceo

E così questa mattina hai varcato la soglia del tuo liceo per la prima volta.

Sono fiero di te e di come ti stai comportando sino ad ora. Dimostri sicurezza anche se sono certo che una buona dose di fifa da qualche parte la troverei.

Sei sfrontato come alla tua età si dovrebbe essere. Con quella dose di sana incoscienza che devo imparare a gestire e, in un certo qual modo, tollerare come parte di te.

Mi guardo indietro e non riesco a capacitarmi di come siano potuti passare quasi quattordici anno da quando ti ho visto per la prima volta.

Spero che questa nuova avventura che stai iniziando sia eccitante e divertente. Che possa darti quegli strumenti che ti servono per percorrere la strada che sceglierai. La scelta del tuo liceo la hai fatta in autonomia e mi auguro che continuerai a fare le tue scelte e che queste scelte rappresentino le tue vere passioni.

Io non serbo un ricordo molto positivo dei miei anni di liceo. Per certo tutti avrebbero scommesso sul fatto che avrei fatto una brutta fine. Non è andata così e, tutto sommato, è andata al di là di qualsiasi rosea aspettativa.

Io ti auguro che la tua strada sia più semplice della mia.

Per il resto, lo sai, io sono sempre qui ad aiutarti e sostenerti se ne avrai bisogno.

In bocca al lupo, Lorenzo!

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Twitch ed il gioco degli scacchi

Twitch, nella sua natura, mi ha sempre affascinato. Migliaia di persone online a seguire qualcuno che sta giocando a qualcosa. Twitch nasce con questa idea.

In realtà non mi sono mai ritenuto molto interessato a questa forma di streaming. Diciamo che preferisco giocare piuttosto che guardare giocare.

Quello che accade è che quando rendi disponibile una piattaforma al grande pubblico questa evolve verso direzioni non previste dalla idea originale.

Questo è avvenuto anche con Twitch ed è per questo che ogni tanto mi ritrovo anche io su Twitch a guardare degli stream.

Oltre ai classici stream di gameplay ci sono una infinità di cose altrettanto interessanti.

Ci sono una quantità di produttori musicali che fanno streaming del loro processo creativo su Twitch.

Proprio ieri leggo questo articolo che parla dello streaming di partite di scacchi su Twitch. Questa me le ero davvero persa e mi suona davvero molto interessante.

Ci sono tre elementi di rilievo:

  • Il primo è l’idea di portare un streaming un gioco che è assolutamente analogico e che, ad una prima analisi, non sembra affatto prestarsi ad uno streaming online.
  • Il secondo, e chiave, è il fatto che la persona che conduce lo spettacolo è una persona in grado di ingaggiare in maniera efficace le persone che assistono alla sua performance.
  • Il terzo è che una solida comunità online dedicata al gioco degli scacchi si sposta con naturalezza verso Twitch.

E’ altrettanto interessante notare come sia presente anche uno scontro culturale sul tema. I giocatori che ritengono che il gioco degli scacchi sia in qualche modo “sacro” e che la sua presenza su una piattaforma come Twitch ne diminuisca il valore storico.

Io credo che non sia questo il caso. Ritorniamo a quello che scrissi qualche tempo fa riguardo alla cultura ed ai suoi fruitori. Se dopo secoli il gioco degli scacchi trova un canale di diffusione diverso da quelli che gli sono stati propri nel passato siamo di fronti ad una naturale evoluzione che non credo debba essere ostacolata.

Twitch è un ponte tra il digitale e l’analogico e come tale può, e deve, essere sfruttato. Non ci vedo nessun reato di lesa maestà, sopratutto se questo porta una platea “gggiovane” ad interessarsi di una cosa che ha una solida storia alle spalle.

Quello degli scacchi non è il solo esempio. Potremmo parlare della produzione musicale, della produzione di arte e via dicendo. Twitch sta diventando una piattaforma molto più densa di contenuti di valori di quanto non ci si potesse aspettare quando è stata concepita.

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Vinile batte CD

Per la prima volta dal 1980 la vendita di dischi in vinile supera la vendita dei Compact Disc.

Questo è quello che emerge dalla lettura di un report scritto dalla Recording Industry Association of America intitolato: “MID-YEAR 2020 RIAA REVENUE STATISTICS“.

Il report, e la notizia, sono estremamente interessanti.

Oltre al dato che forma il titolo di questo post è interessante notare come la vendita di supporti fisici rappresenti solo il 7% del volume totale delle vendite, qualcosa come 376 milioni di dollari. Cifra in calo di circa il 23% anno su anno.

Lo streaming vale l’85% del mercato.

Ancora una volta il fisico sembra essere distrutto dal digitale.

Nonostante tutto, sarà per l’età, mi piace pensare che la musica in forma fisica non scomparirà. Io stesso sono sempre più tentato di fare un ritorno al vinile per alcune cose che mi sono piaciute tanto. La discografia dei Pink Floyd per fare un esempio o le cose di Jiki Hendrix. Non lo ho ancora fatto, purtroppo.

Il fatto è che mi piacerebbe ricostruire una catena del suono buona come mi capitò di avere in passato. Ho un gran bel ricordo del mio amplificatore Audiolab cui dedicai l’intero stipendio di un mese di lavoro nel 1995.

Collegare un piatto al mio sistema Sonos mi suona come un tradimento.

Al di là di queste considerazioni non sono sicuro del fatto che il digitale divorerà completamente alcuni settori, quello della musica come esempio. Sono convinto che esisterà sempre qualcuno che vorrà tenere la copertina di un disco in mano quando questo gira sul piatto.

Certo è che l’economia del supporto fisico per la musica comincia ad avere economics che traballano, sopratutto in termini di distribuzione. La salvezza potrebbe essere l’assenza di distribuzione fisica ma acquisti solo online da un paio di centri di distribuzione.

Sarebbe un vero peccato se accadesse.

Rimarrebbe comunque il mercato del passato che ne trarrebbe vantaggio in termini di valore.

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L’FBI è preoccupata

Nello scorrere i contenuti della mia dieta informativa quotidiana qualche volta mi capita di incorrere in letture che mi fanno sorridere.

L’ultima occasione ieri. Mi capita sotto gli occhi un articolo intitolato: “FBI Horrified To Discover Ring Doorbells Can Tip Off Citizens To The Presence Of Federal Officers At Their Door“.

Leggo l’articolo con attenzione e scopro che l’FBI si preoccupa del fatto che i nuovi campanelli digitali possono permettere ai sospetti di vedere chi è alla porta e quindi, potenzialmente, mettere a rischio gli agenti che stanno compiendo una operazione di polizia.

A me viene immediatamente da ridere. Tanto.

In realtà l’articolo è piuttosto sensazionalistico nel senso che prende le mosse da un report dell’FBI intitolato: “(U//FOUO) Internet of Things Devices Likely Present Both Opportunities and Potential Challenges for Law Enforcement Investigators.

In effetti questo articolo, tra le altre cose, riporta il tema dell’articolo originale.

La prima cosa che mi viene in mente è: “Davvero?”.

E’ stato davvero speso del tempo da parte dell’FBI per mettere insieme un documento di nove pagine che contiene informazioni del tutto banali e che sarebbe potuto essere frutto della ricerca di uno studente universitario con un decente accesso a Internet.

Ok, queste sono informazioni pubbliche ed è probabile che a valle di quello che viene reso pubblico sia presente un lavoro decisamente più corposo e, probabilmente, più preoccupante per la privacy dei cittadini ma rimane comunque peculiare della cultura americana questo approccio.

Essere sorpresi dal banale. Spendere tempo e risorse per produrre qualcosa di banale.

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Felice?

Ci sono dei giorni in cui tutto sembra essere perfettamente allineato dal momento in cui posi il piede giù dal letto. In questi giorni riesci anche a pensare che, tutto sommato, sei felice.

E poi compi l’errore fatale. Apri le home page dei quotidiani online e quella sensazione svanisce all’istante.

Leggi di quello che è accaduto a Colleferro e della morte di quel ragazzo. Inspiegabile. Inspiegabile non solo nel fatto specifico ma anche nel contesto delle dichiarazioni di familiari ed amici dei presunti responsabili.

Ancora una volta mi ritrovo perfettamente d’accordo con Chiara Ferragni:

Il problema lo risolvi cambiando e cancellando la cultura fascista e sempre resistente in questo paese, non cancellando il mezzo tramite il cui i fasci hanno fatto violenza. Il problema non lo risolvi nascondendolo sotto al tappeto, lo si risolve con la cultura e l’istruzione

Non è più una bella giornata.

Prendo il telefono e chiamo i miei figli nel tentativo di recuperare un pochino di serenità.

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Mi sento colpevole

Ho smesso di correre il giorno in cui sono andato in vacanza. In realtà ero partito con tutte le buone intenzioni. Scarpe, magliette e pantaloncini assortiti si sono presi il loro spazio nella valigia che mi ha accompagnato durante il viaggio.

Non sono mai usciti dalla stessa valigia per tutta la durata della vacanza. Non ci ho nemmeno mai pensato così preso dalle chiacchiere con i miei figli ed i miei amici. In un paio di occasioni sono stato tentato di mettere piede nella palestra dell’albergo. Ho rinunciato dicendo che, in fondo, era più sicuro non frequentarla per via della pandemia.

Tutto l’occorrente per la corsa è tornato a casa insieme a me e con esso tutti i buoni propositi di ricominciare a correre.

Per questa ragione la maglietta, i pantaloncini e le scarpe sono in bella vista nello spogliatoio in modo che io non possa sfuggire alla loro vista ogni mattina.

Eppure, anche questa volta riesco ad evitare il contatto con loro ed ancora oggi, a quasi due settimane dal mio rientro, non sono ancora andato a correre.

Evito di incrociare il loro sguardo come se fossi colpevole di chissà quale reato.

Comincio ad avere il sospetto che con l’età la mia capacità di impormi scelta spiacevoli sia grandemente diminuita.

Quindi, mi sento colpevole. Ma non troppo.

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Equilibrio

Sono stati mesi difficili e quelli che seguiranno non sembrano essere da meno.

Il mio lavoro ne è stato molto condizionato. Certamente nei modi in cui ho dovuto portarlo a termine, nelle scelte che abbiamo dovuto prendere e nel gradissimo numero di variabili che abbiamo dovuto aggiungere ai nostri modelli classici.

Un nuovo modo di lavorare, la differenza tra i provvedimenti Svizzeri e quelli Italiani, la difficoltà di avere a disposizione un forecast che avesse un qualche senso compiuto ed il benessere delle persone oltre che l’integrità in senso lato di Sketchin.

Se prima era un delicato gioco di equilibrio tra tutti questi fattori ora è ancora più complesso e delicato.

L’obiettivo finale è trovare un equilibrio sano tra tutti questi fattori. Un equilibrio il cui centro è la persona che ha scelto Sketchin come luogo in cui lavorare. L’esercizio è complesso e richiede grandissima attenzione e sensibilità.

La quantità di fattori che è ora necessario tenere in considerazione è considerevolmente aumentato rispetto al passato. Potremmo dire che il secondo principio della termodinamica ha perfettamente funzionato. A complicare le cose il fatto che questi fattori assumono una forma mutevole e questa mutevolezza ha una velocità mai vista prima. Provvedimenti, ammortizzatori, norme che cambiano ogni settimana, se non giorno. Gli stessi clienti che serviamo sembrano reagire spesso in modo scomposto.

Trovare un equilibrio con la velocità di cambiamento di questi fattori introduce un elemento di rischio mai visto prima.

Va detto che ci si abitua in fretta. Metti in fila tutti i fattori e li analizzi uno per uno per comprendere quale impatto essi hanno sulla tua organizzazione. Ad ognuno assegni un margine di rischio che sei disposto ad assumerti e crei un ecosistema di scenari possibili. Non c’è altro modo in questi mesi. Non hai più un singolo scenario ma una varietà di scenari diversi da tenere in considerazioni. Sono scenari che mutano giorno dopo giorno e che devono essere alimentati da dati il più possibile affidabili.

Proprio questi dati sono la bussola che ci permette di navigare in maniera efficace. Gli strumenti che usiamo sui nostri pannelli di controllo sono alimentati dai dati che le singole persone ci danno giorno dopo giorno.

Per questa ragione è assolutamente fondamentale che ognuno sia perfettamente cosciente di quanto il suo contributo sia fondamentale nella alimentazione dei modelli sui quali le decisioni vengono prese.

Non sono mai decisione di pancia. Sono sempre decisioni che vengono prese partendo da un insieme di dati il più certo ed affidabile possibile e con un margine di rischio la cui profondità è decisa di volta in volta.

Non credo che le persone che mi circondano si rendano perfettamente conto di quanto siano stati complessi questi mesi e quante ore di sonno sono state perse per trovare questo equilibrio. C’è una grandissima solitudine che mi ha circondato in questi mesi e non per via della pandemia.

La solitudine è una delle caratteristiche del ruolo che ricopro, così come la sua impermanenza. Qualsiasi General Manager ha un tempo determinato. Non dura per sempre, almeno nello stesso posto.

Eppure l’esercizio di ricerca di un equilibrio ha sinora funzionato. Potranno esserci ancora scelte difficili da prendere. Certamente ci saranno.

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