Equilibrio

Sono stati mesi difficili e quelli che seguiranno non sembrano essere da meno.

Il mio lavoro ne è stato molto condizionato. Certamente nei modi in cui ho dovuto portarlo a termine, nelle scelte che abbiamo dovuto prendere e nel gradissimo numero di variabili che abbiamo dovuto aggiungere ai nostri modelli classici.

Un nuovo modo di lavorare, la differenza tra i provvedimenti Svizzeri e quelli Italiani, la difficoltà di avere a disposizione un forecast che avesse un qualche senso compiuto ed il benessere delle persone oltre che l’integrità in senso lato di Sketchin.

Se prima era un delicato gioco di equilibrio tra tutti questi fattori ora è ancora più complesso e delicato.

L’obiettivo finale è trovare un equilibrio sano tra tutti questi fattori. Un equilibrio il cui centro è la persona che ha scelto Sketchin come luogo in cui lavorare. L’esercizio è complesso e richiede grandissima attenzione e sensibilità.

La quantità di fattori che è ora necessario tenere in considerazione è considerevolmente aumentato rispetto al passato. Potremmo dire che il secondo principio della termodinamica ha perfettamente funzionato. A complicare le cose il fatto che questi fattori assumono una forma mutevole e questa mutevolezza ha una velocità mai vista prima. Provvedimenti, ammortizzatori, norme che cambiano ogni settimana, se non giorno. Gli stessi clienti che serviamo sembrano reagire spesso in modo scomposto.

Trovare un equilibrio con la velocità di cambiamento di questi fattori introduce un elemento di rischio mai visto prima.

Va detto che ci si abitua in fretta. Metti in fila tutti i fattori e li analizzi uno per uno per comprendere quale impatto essi hanno sulla tua organizzazione. Ad ognuno assegni un margine di rischio che sei disposto ad assumerti e crei un ecosistema di scenari possibili. Non c’è altro modo in questi mesi. Non hai più un singolo scenario ma una varietà di scenari diversi da tenere in considerazioni. Sono scenari che mutano giorno dopo giorno e che devono essere alimentati da dati il più possibile affidabili.

Proprio questi dati sono la bussola che ci permette di navigare in maniera efficace. Gli strumenti che usiamo sui nostri pannelli di controllo sono alimentati dai dati che le singole persone ci danno giorno dopo giorno.

Per questa ragione è assolutamente fondamentale che ognuno sia perfettamente cosciente di quanto il suo contributo sia fondamentale nella alimentazione dei modelli sui quali le decisioni vengono prese.

Non sono mai decisione di pancia. Sono sempre decisioni che vengono prese partendo da un insieme di dati il più certo ed affidabile possibile e con un margine di rischio la cui profondità è decisa di volta in volta.

Non credo che le persone che mi circondano si rendano perfettamente conto di quanto siano stati complessi questi mesi e quante ore di sonno sono state perse per trovare questo equilibrio. C’è una grandissima solitudine che mi ha circondato in questi mesi e non per via della pandemia.

La solitudine è una delle caratteristiche del ruolo che ricopro, così come la sua impermanenza. Qualsiasi General Manager ha un tempo determinato. Non dura per sempre, almeno nello stesso posto.

Eppure l’esercizio di ricerca di un equilibrio ha sinora funzionato. Potranno esserci ancora scelte difficili da prendere. Certamente ci saranno.

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I due giardinieri

Ho speso parte delle mie vacanze in Abruzzo in un belissimo albergo circondato da un grade parco.

Piante altissime, fiori ed un manto erboso fantastico. A mio padre sarebbe piaciuto davvero molto.

Scendo a fare colazione e subito dopo mi fermo nel parco a fumare una sigaretta. Sono seduto su una sedia in mezzo all’erba. Vedo le gocce di acqua sui fili d’erba lasciati dal sistema di irrigazione. C’è l’odore della resina dei pini ed il frinire delle cicale.

C’è un giardiniere anziano che si sta prendendo cura del parco. Con un rastrello raccoglie gli aghi di pino che durante la notte si sono staccati dagli alberi e si sono adagiati sull’erba.

E’ un uomo sulla sessantina con pochi capelli. Veste una divisa verde. Lo guardo con il suo rastrello e mi sembra che stia accarezzando l’erba. Ogni tanto si ferma ed alza lo sguardo. Si guarda intorno e sorride. Mi convinco che quel lavoro gli piaccia.

Finisce di raggruppare gli aghi di piano in un mucchietto. Prende un sacco di plastica e comincia a riempirlo. E’ una operazione che è difficile fare da soli. Gli aghi di pino sono sfuggenti ed il sacchetto continua a richiudersi.

Passa qualche secondo e viene raggiunto da un altro giardiniere, più giovane. Quest’uomo gli si avvicina e gli dice: “Ti aiuto!”. Il giardiniere più anziano sorride e risponde con un “Grazie!”.

Uno tiene il sacchetto e l’altro lo riempie con gli aghi di pino.

Finiscono il lavoro e si allontanano insieme. Passano di fianco ad una siepe ed il giardiniere più giovane allunga una mano e accarezza delicatamente la siepe. Mi convinco che anche a lui piace il suo lavoro.

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Apple, ma davvero?

Ho parlato di recente della mia opinione riguardo le applicazioni di tracciamento delle esposizioni al Covid 19 e dopo alcuni commenti ed alcune chiacchierate con amici o conoscenti ho continuato a pensarci su.

Al momento la mia posizione non cambia. Continuo a tenere l’applicazione installata sul mio smartphone. Nonostante tutto.

Nella mia ulteriore riflessione, ed in seguito al cambiamento da parte di Apple che decide, d’ordine, di abilitare il tracciamento a livello di sistema operativo mi sono sorti dei dubbi.

Per questa ragione sono andato a leggermi la documentazione che riguarda le Exposure API di Apple. Nel caso in cui vogliate dare una occhiata potete andare qui. Qui la cosa si fa interessante perché in quella documentazione si fa riferimento ad un addendum alla documentazione che si trova qui.

Questo documento è molto interessante nel suo contenuto. La parte che mi lascia maggiormente perplesso è questa:

2.1 In order to use the Exposure Notification APIs, You must be a government entity, such as a government health services organization, or a developer who has been endorsed and approved by a government entity to develop an Application on behalf of a government forCOVID-19 response efforts. Entitlement Profile(s) are limited to one (1) Application per country unless the country has a regional approach, or as otherwise agreed by Apple. If You are a developer who has been endorsed or approved by a government entity, You agree to provide documentation to Apple evidencing the authorization and endorsement of the government entity upon Apple’s request.Further, developers endorsed or approved by a government entity must have a written agreement with such government entity that obligates the government entity to abide by the terms of this Addendum and the Developer Agreement.

2.2 You understand that You will need to request an Entitlement Profile on the Apple Developer Program web portal prior to any use of the Exposure Notification APIs. You agree to submit true, accurate, and complete information to Apple regarding Your requested use of the Exposure Notification APIs. Apple will review Your request and reserves the right to not provide You with the Entitlement Profile in its sole discretion, in which case You will not be able to use the Exposure Notification APIs. Apple will not be liable to You for declining Your request to use the Exposure Notification API seven if You have agreed to this Addendum.

2.3You acknowledge and agree that You will not access, or attempt to access, the Exposure Exposure Notification APIs Addendum Page2 Notification APIs unless You have received an Entitlement Profile from Apple. Apple reserves the right to not provide You with the Entitlement Profile,and to revoke such Entitlement Profile, at any time in its sole discretion.

La sostanza è che solo una entità governativa può richiedere l’accesso alle Exposure API e che questo accesso è limitato ad una sola applicazione.

Quindi, cara Apple, fammi capire: sei tu che decidi se io, in qualità di governo sovrano sul mio territorio, posso accedere o meno a quelle API ed, allo stesso tempo, mi dici che con il tuo hardware non ho nessuna possibilità di accedere all’hardware che mi permetterebbe di farlo in autonomia?

E’ ben evidente che a questo punto è Apple che ha controllo sull’operato di un governo e non il contrario come sarebbe sano che fosse. Questa cosa mi manda fuori di testa e credo che sia un tema assolutamente rilevante al di là del tema Covid 19.

Aziende private come Apple, Google, ed in generale tutti i grandi player del mercato high tech, sono oramai entità trans nazionali che esercitano un enorme potere sui consumatori. Quello sopra ne è un esempio eclatante.

Forse sarebbe il caso di cominciare a metterci la testa e fare qualche riflessione.

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Smontare le cose

Da sempre mi piace smonare le cose. Credo di non avere mai posseduto un giocattolo, sopratutto quelli che contenevano un pochino di elettronica, che io non abbia mai smontato. La realtà delle cose è che sono molto bravo a smontare e molto meno a rimontare. Diciamo che con l’età sono diventato un pochino più diligente e più accurato nel prendere nota mentre smonto qualcosa.

La spinta viene dalla curiosità. Come è fatto dentro? Capire come funziona, scoprirne i segreti e comprendere che cosa rende speciale, o anonimo un oggetto.

In senso lato questo si traduce nella mia passione per il codice, ma questa è un’altra storia.

Mi imbatto in una storia interessante. Su Twitter qualcuno scrive della propria moglie che sospetta di una gravidanza e per questo motivo compra un comune test di gravidanza. Esegue il test ed il test risulta essere positivo. A valle di questo risultato la moglie decide di eseguire il test in maniera più accurata e per questo motivo acquista un test di gravidanza digitale…

Sì, scopro che esistono i test di gravidanza digitali. Voi lo sapevate?

Ci sono due prime considerazioni da fare:

  1. Perché la moglie non ha deciso di eseguire un test diagnostico vero e proprio attraverso un prelievo del sangue? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai.
  2. Perché la versione digitale di un prodotto analogico viene considerata più affidabile? Forse la presenza di una componente tecnologica rassicura il consumatore: “Se il test è digitale ed è fatto con della tecnologia certamente ci sono meno probabilità di falsi positivi.” Questo deve essere il pensiero che ha attraversato il cervello della futura madre.

Naturalmente l’oggetto digitale è stato smontato per comprendere che cosa davvero ci fosse dentro.

Quello che si scopre è piuttosto buffo.

Il test di gravidanza digitale non è altro che un test di gravidanza tradizionale cui è stato un microcontroller, una batteria, un sensore ed un display LCD. Il principio di funzionamento è semplice. Il test viene eseguito in maniera tradizionale e mostra le consuete barre che riportano il risultato. Il sensore legge il risultato visualizzato dalle barre e comunica al microcontroller il risultato. Il microcontroller traduce il risultato in una informazione leggibile da un essere umano e la visualizza sul display LCD.

E’ quindi ben evidente che il test digitale non è certamente più o meno affidabile di un test tradizionale.

Si limita a fare leva sul comune pensiero per sembrare più efficace.

Inutile dire che i due oggetti hanno una differenza di costo, e quindi di guadagno per l’azienda produttrice.

Il meccanismo di rilevazione della gravidanza quindi non cambia. E’ sempre il risultato di una reazione chimica tra i reagenti presenti sul test di gravidanza e l’urina di chi si sottopone al test.

Se proprio volessimo tirare per i capelli l’interpretazione di questa faccenda potremmo dire che il test digitale è più usabile di quello analogico. La lettura delle barrette potrebbe essere difficoltosa o non chiara. In questo senso potrebbe anche avere una sua utilità.

Questo approccio si trova in maniera del tutto simile in qualsiasi confronto tra il digitale e l’analogico. In generale si ritiene sempre che il digitale sia più efficace dell’analogico. Io non credo che sia sempre così.

Per fortuna c’è sempre qualcuno che smonta le cose.

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Immuni, secondo me

In queste settimane ho letto molto sulla applicazione Immuni e sui suoi equivalenti in giro per il mondo.

In prima battuta ho considerato gli elementi che mi avrebbero spinto verso la decisione di non installare Immuni sul mio smartphone. Uno dei principali punti a favore di questa decisione risiede nel fatto che sarei costretto ad avere costantemente acceso il sottosistema bluetooth del mio smartphone.

La letteratura sulla sicurezza dei protocolli oggi utilizzati è molto ampia ed è dimostrato che esistono delle falle di sicurezza che possono esporre i miei dati e le mie informazioni personali a terzi.

Allo stesso tempo insiste un rischio relativo ad un potenziale tracciamento da parte di terzi della posizione del mio smartphone e quindi di me stesso. Premesso che chi si ritrovasse nella condizione di volere tracciare i miei spostamenti “si ammazzerebbe di pizzichi” vista la mia vita sociale attuale è un tema che va considerato.

Nonostante sia Apple che Google insistano nel dire che le loro API che permettono il controllo della esposizione al Covid 19 rendano il tutto assolutamente anonimo è notizia di ieri che questo non è proprio vero.

Se siete interessati a capire di più sul tema questo è un video che dimostra come questo possa accadere:

Little Thumb Attack on SwissCovid from Martin Vuagnoux on Vimeo.

Rimane infine il tema della efficacia. E’ ampiamente dimostrato che l’applicazione in sé e per sé non è sufficiente a contrastare la diffusione del virus. La strategia delle tre T, Testare, Tracciare e Trattare, è l’unica in grado di essere veramente efficace. E’ perfettamente chiaro che questa strategia, almeno in Italia, non è implementata a dovere.

Quali sono, invece, gli elementi che potrebbero spingermi verso l’adozione della applicazione.

In questo caso il problema diventa meno oggettivo rispetto ai motivi per i quali propenderei per il no.

Non voglio parlare di responsabilità perché è un tema sempre estremamente personale e di cui è molto difficile discorrere in maniera serena.

Direi che posso sintetizzare la posizione verso il sì in questo modo: se Immuni mi permette di avvisare qualcuno di un potenziale contagio o, al contrario, mi permette di essere avvisato di un potenziale contatto con una persona contagiata vorrebbe dire che mi sarebbe permesso di evitare la diffusione del virus. Questo al netto di tutte le problematiche di sicurezza e di privacy. Al netto anche di tutta l’incertezza riguardo quello che accade dopo la notifica di una esposizione.

In sostanza se l’efficacia della applicazione è superiore a zero è buona cosa installarla.

Dopo avere fatto le mie considerazioni ho deciso di installare l’applicazione Immuni sul mio smartphone. La considerazione che per me, personalmente, ha vinto è proprio quella scritta nel paragrafo precedente.

Con questo volevo solo riportare le mie considerazioni. Come sempre, fate funzionare il vostro cervello e decidete secondo la vostra valutazione. Non voglio spingere nessuno ad installare l’applicazione e a non installarla.

Ho solo scritto il motivo per il quale IO ho deciso di installarla. Questo per evitare qualsiasi lotta di religione all’interno dei commenti di questa baracca.

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Di nuovo in studio

Questa mattina sono rientrato in studio dopo mesi di assenza.

Ho provato un strana sensazione sin dalla mattina presto. Dovendo mettere in conto il tempo di viaggio ho dovuto anticipare la sveglia di una oretta buona. La lentezza tipica delle mattinate del lavoro da casa è prontamente scomparsa.

Prepararsi per rendersi presentabile al resto del mondo è molto diverso dall’alzarsi e mettersi a lavorare in completa libertà. Già questo è un segno del rientro ad una, nuova, normalità.

Mi sono messo in viaggio verso Manno e come di consueto incontro le solite code sulla autostrada Svizzera. Le code sono le solite ed anche il fastidio è quello di sempre. In questo caso è stato acuito dalla totale assenza di tempi di viaggio nei mesi precedenti. Vero ò che la lunga coda del rientro dalle vacanze ha aiutato un pochino a riprendere contatto con il resto della gente in macchina.

Sono entrato in studio e la sensazione è stata stranissima. Come spesso accade sono stato tra i primi ad arrivare e quando ho varcato la soglia sono stato sorpreso da una sensazione molto strana. E’ stato come rientrare in una casa che non hai frequentato per molto tempo. Sono stato sopraffatto dalle immagini dello studio, dall’odore che pervade questi locali e dalla percezione del tempo che è passato dall’ultima volta che sono stato qui.

La sensazione più positiva è stata la consapevolezza del fatto che nulla è cambiato. Tutto è, ovviamente mi verrebbe da dire, rimasto come era. Il mio divano preferito è ancora lì e ora sto scrivendo da lì. In un momento complesso come questo una certezza non è assolutamente da disprezzare.

Ho salutato Gianni che non vedevo da sei o sette mesi ed è stata un’altra sensazione forte. Nessuna conference call con video potrà mai sostituire la fisicità di un incontro faccia a faccia. Questo è forse l’aspetto che è mancato di più in questi mesi. Lentamente arrivano altre persone e dopo qualche momento di incertezza tutto riprende i ritmi conosciuti. Ecco un’altra certezza che si somma alla prima.

Vado verso il mio posto e mi rendo conto che gli automatismi, quasi come la memoria muscolare quando non si è suonato uno strumento musicale per tanto tempo, si riattivano da soli. Mi siedo al solito posto e compio le solite operazioni cui ero uso quando frequentavo questo posto ogni giorno. E’ propio vero che l’essere umano è un animale abitudinario.

Oggi devo partecipare a qualche riunione e rivedrò altre persone. Sono certo che sarà una giornata complessa, più per la gestione delle sensazioni che per la difficoltà del lavoro.

Non essere seduto in giardino come nei mesi scorsi è certamente un grande cambiamento e non avere le mie cose intorno un’altra grande differenza.

Sono felice di essere qui. Le vacanze, e gli amici, mi hanno aiutato a rimettere tutto quanto nella giusta prospettiva.

Dai, ricominciamo!

Una Coppia

Mi trovo ad Aglioni, un piccolo borgo in Abruzzo dove passeremo qualche giorno insieme ai ragazzi. Il borgo in cui si trova l’agriturismo è molto piccolo. Le sue strade sono molto strette. Tanto strette che a malapena passa una utilitaria sul selciato di ciottolo.

Il borgo è piccino e l’agriturismo è distribuito in tutto il paese. Una camera qui, un’altra camera là e così via.

La porta della nostra camera affaccia direttamente sulla strada. Una camera piccina ma accogliente e con il bagno più strano che io abbia mai visto in vita mia.

Davanti alla porta c’è una pachina di ferro scolorita.

Mi alzo e mi faccio la doccia. Apro la porta della camera per uscire in strada a fumarmi una sigaretta. Sono le sette e trenta del mattino ed i ragazzi stanno ancora dormendo. Il silenzio regna sovrano se non fosse per un sommesso chiacchiericcio che si sente da dietro la porta.

Mi affaccio sulla porta e vedo due signori anziani seduti sulla panchina. Lui è un uomo sulla settantina con pochi capelli bianchi ma ben curati. Veste dei pantaloni pesanti ed una camica a quadri. Un cardigan pesante lo protegge dall’aria fresca del mattino. Lei sembra avere la stessa età e gli stessi capelli bianchi. Una gonna pesante, una camicetta ed un golfino.

Sono seduti vicinissimo l’uno all’altra e si tengono la mano. Mi immagino che siano marito e moglie.

Li saluto con un caloroso buongiorno e loro mi rispondono cordialmente.

Riprendono a chiacchierare tra loro in quella modo fitto che avevo sentito prima. Non riesco ad intendere che cosa si dicano ma stanno bene l’uno con l’altra.

Lei di quando in quando si porta la mano alla bocca per coprire la risata che qualcosa detto dall’uomo ha provocato. Anche lui ride a qualcosa che lei dice.

Ogni tanto si fermano e guardano le montagne intorno per poi riprendere a parlare.

Io cerco di finire la mia sigaretta in fretta perché mi sento un intruso. Li guardo e sorrido fino al momento in cui mi coglie un velo di tristezza per quello che poteva essere e non è stato.

Rientro in camera e ritrovo il sorriso. La loro felicità è contagiosa. Guardo i ragazzi nei loro letti e sono pronto per cominciare un’altra giornata.

Photo by Sven Mieke on Unsplash

Si scrive!

In queste settimane di assenza questa baracca mi è molto mancata. Era oramai diventata un appuntamento fisso ed immancabile di ogni mia giornata.

Nonostante questo, come ho scritto, ho cercato il più possibile di stare lontano da qualsiasi cosa avesse a che fare con dei pixel e mi sono goduto il momento.

La compagnia dei miei figli in primo luogo. Interminabili chiacchierate e grandissime risate con il solito contorno dell’incidente che non manca mai nelle nostre vacanze. La compagnia degli amici che anche se sono lontani sono una presenza importante e che vale la pena coltivare ogni volta che nei hai occasione.

La bellezza dei luoghi che ho visitato. In questo caso l’Abruzzo che è stata una incredibile scoperta grazie, sopratutto, alle guide locali che ci hanno accompagnato durante la nostra permanenza.

La non cura assoluta di barba, capelli, vestiario e affini. Sono oramai del tutto simile a Tom Hanks protagonista di Cast Away ma va bene così. Credo che manterrò questo look per qualche tempo a venire. Tutto sommato non mi dispiace.

La sospensione temporanea di qualsiasi tipo di dieta che mi ha permesso di scoprire una cucina locale incredibilmente buona e altrettanto calorica.

Il convivere con la presenza del Covid che certamente ha modificato le abitudine e che non ha mai smesso di seguirci con la sua ombra. Non credo di essermi mai lavato così tanto le mani come in queste due settimane. Ho notato qualche comportamento non proprio corretto a riguardo ma me ne sono tenuto alla larga e spero di essere tornato a casa tutto intero.

Lo spazio per pensare e per riequilibrare un paio di cose che stavano affollando la mia mente di recente. Ora mi sembra tutto molto più chiaro e sono pronto a recuperare quel poco di tempo che ho perso.

La più grande conquista di queste vacanze è stata quella di riuscire ad essere sempre presente e consapevole del momento che stavo vivendo. L’assenza di uno schermo a fare da intermediario ha molto semplificato le cose ed è certamente una lezione imparata.

Il pensiero sempre presente di una fine dell’anno che non sarà semplice ma che avrà a disposizione tutte le mie energie affinché, ancora una volta, si riesca a portare la nave in porto senza subire troppi danni dal mare in tempesta.

Sono tornato con un sacco di appunti cartacei e con una grande quantità di idee che adesso vorrei mettere in fila e realizzare.

E come vedete, da oggi la baracca riapre. Sempre per i suoi due lettori che spero continueranno a farsi vedere come prima.

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E’ tempo di vacanza

Sì, è tempo di vacanza.

Io uso ancora il termine vacanza perché usare il termine ferie mi urta i nervi.

Negli ultimi tempi per me vacanza significa distaccarmi da tutto il quotidiano che mi circonda, salvo poche cose vitali.

Essere in vacanza significa cancellare dal mio telefono il mio account di posta di Sketchin. Significa smettere di rispondere a qualsiasi chiamata che non sia personale. Non rispondere a nessun messaggio che non si da qualcuno a cui tengo.

Vacanza significa spendere del tempo con i miei figli, parlare con loro e progettare insieme le cose che vogliamo fare. Ridere a crepapelle per le battute che facciamo. Scompigliarli i capelli mentre siamo seduti in riva al mare. Raccontarci storie e sogni.

Essere in vacanza significa allontanarsi da qualsiasi cosa abbia uno schermo e una tastiera. Vivere con gli occhi, il respiro, il gusto.

Essere in vacanze è guardare le cose con un occhio diverso e meno neutro rispetto al resto dell’anno. Osservare, prendere nota.

Vacanza significa vivere il momento senza pensare a quello che accadrà domani.

Per questo qui la baracca chiude fino al primo giorno di Settembre.

Prendetevi cura di voi.

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Buon compleanno, papà

Se tu fossi ancora con noi oggi avresti compiuto novanta anni. Purtroppo non ci sei più da tempo ma, nonostante questo, oggi sto pensando a te.

Tu eri un ingegnere e per me sei sempre stato il più grande degli ingegneri. Mi ricordo ancora quando mi portasti in ufficio con te e visitammo l’officina in cui venivano costruite le giranti che tu ed il tuo team progettavate. Da ragazzino mi ricordo che mi sembrò un luogo enorme e magico.

Da qualche parte dovrebbe esserci ancora una fotografia di me vicino ad una delle pale di una girante. Alta quasi come me. Mi sembrava che tu stessi costruendo delle cose fantastiche. Pensa, mi ricordo anche che era una girante costruita sul modello Pelton.

Purtroppo non credo di essere mai riuscito a dirti quanto mi rendeva fiero sapere che tu facevi quel lavoro. Ai miei amici di allora, e nella mia totale incomprensione del tuo lavoro, dicevo che il tuo lavoro era quello di fare accendere le lampadine nelle case delle persone.

Mi sembrava una cosa importante e vitale per la vita delle persone.

Abbiamo davvero litigato tanto negli anni perché su alcune cose avevamo davvero opinioni molto diverse.

Alla fine tutto la sbatti, come direbbe mio figlio Lorenzo, per arrivare dove sono arrivato lo ho fatto per dimostrarti che, nonostante stessi percorrendo una strada diversa da quella che tu ti immaginavi, io sono arrivato lo stesso all’obbiettivo che mi ero prefissato.

In fondo avremmo dovuto scambiarci qualche abbraccio in più rispetto a quanti ci siamo davvero scambiati nella realtà.

Mi fa comunque piacere riconoscere che quegli abbracci li hai comunque scambiati con Lorenzo, tuo nipote. Ti ha ammorbidito più lui in pochi anni che io nei 40 anni precedenti. Forse i figli giocano anche questa funzione nei confronti del rapporto tra genitore e figli.

Mi mancano i tuoi lamenti su qualsiasi cosa non ti piacesse.

Ogni tanto vado a guardare tutte le carte che erano nel tuo studio e mi piace scorrere i tuoi appunti scritti con quella grafia che è molto simile alla mia. Tutto su carta. Non c’erano i computer. Dentro quei documenti c’è anche quella foto con mamma in sella alla lambretta che ti regalò Enzo Ferrari per la tua laurea in ingegneria. E’ una fotografia cui tengo molto. Sembravate felici e tu eri molto più figo di quanto io mai potrò essere.

Non ho nessuna idea di dove tu sia adesso ma ti immagino essere felice con le persone, le cose ed i pensieri che hai amato.

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Vecchio stile

Come molti di voi hanno già capito leggendo il contenuto di questo sito io sono davvero una persona vecchio stile. Non c’è niente da fare. Questo è particolarmente vero quando mi devo relazionare con il gentil sesso.

Io sono ancora quella persona che apre la portiera del passeggero per fare accomodare la mia ospite e, quando questa si è seduta, la richiude con delicatezza avendo ben cura di passare dal fronte della macchina e non dal retro.

Io mando ancora mazzi di fiori alle persone a cui in quelle occasioni che ritengo speciali o, semplicemente, per dimostrare che io tengo a loro.

Scrivo ancora lettere di carta, molte di cui, confesso, non sarebbero dovute essere scritte. Ma tant’è, non resisto.

Al ristorante con una signora il conto è mio. Non ci sono eccezioni. Se sono in compagnia e sono stato invitato il conto è mio. Anche in questo caso non ci sono eccezioni. Se sono ad un pranzo di lavoro con il colleghi il conto è mio, e quasi sempre con i miei quattrini salvo occasioni istituzionali.

Le signore passano sempre prima di me ma non prima che io abbia dato una occhiata al luogo in cui devono entrare.

Se una signora si alza da tavola io mi alzo insieme a lei per poi risedermi quando si è allontanata. Quando ritorna mi alzo di nuovo e la aiuto spostando la sedia.

Non mi presento mai a casa di qualcuno a mani vuote e distinguo sempre se l’invito è arrivato da un uomo o da una donna per scegliere cosa porterò con me.

Se serve mi privo del mio cappotto o della mia giacca.

Quando accompagno a casa qualcuno non mi metto in moto sino a che non ho visto la persona entrare nel suo portone.

Mi è capitato che mi sia stato fatto notare che al giorno d’oggi alcuni di questi comportamenti possono essere definiti sessisti. Uno per tutti: occuparsi del conto del ristorante. Non ho intenzione di addentrarmi in questa discussione. Così mi è stato insegnato e così continuerò a fare.

Il resto mi sembra il minimo sindacabile per chi è dotato di buona educazione.

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Indifferenza

E’ notizia di ieri che una donna si è uccisa dandosi fuoco in un campo a Crema.

Di per sé la notizia è già sufficientemente sconvolgente ma, purtroppo, c’è di peggio.

Mentre questo accadeva, e secondo il racconto di un passante, tutte le persone tranne una che è intervenuta stavano filmando la scena con il loro telefono cellulare.

Davvero, ma che cosa cavolo avete nella testa? Questa notizia fa il paio con le manifestazioni sul decreto legge Zan, con il parroco che recita un omelia contro lo stesso decreto e le minchiate che il nostro ex ministro (sempre rigorosamente con la m minuscola) dell’Interno posta sui suoi profili social.

Leggo che c’è una speranza per questo paese. No, io questa speranza non la vedo. Questo è il paese in cui il singolo si salva sempre, specie se furbo o delinquente, mentre il sistema si disintegra.

Ora, io posso anche capire che non tutti avrebbero la presenza di spirito di intervenire di fronte ad un essere umano che si da fuoco. Non è certamente semplice ma io sono certo che sarei scattato come una molla. Mi è capitato in passato di intervenire in situazioni complesse ed in un caso di ho anche rimediato quattro punti di sutura per difendere una sconosciuta che veniva importunata.

Ammettiamo quindi che tu non abbia la presenza di spirito di intervenire. Ci sta. Quello che non ci sta è che tu possa trovare la forza di prendere il tuo smartphone per riprendere la morte di un essere umano. Ma cosa sei esattamente? Cosa ci farai poi con quel video? Avrai il coraggio di guardarlo?

Dimmi, davvero mi interessa. Quale è il motivo? Aiutami a capire perché se c’è un razionale dietro tutto questo io non lo vedo. Non ci riesco.

La vita è quello che sta davanti all’obiettivo ed è con quella che devi interagire. Mettere un telefono tra te e la realtà è da paraculi e vigliacchi. E’ una scusa inaccettabile. Diciamo la verità, è da coglioni totali.

Davvero, io non riesco a capire come si possa non intervenire, come non si possa prendere posizione, come sia impossibile non difendere quello in cui si crede a tutti i costi.

Oggi è decisamente una giornata molto triste.

Se non ci arrivi, hai dei problemi che ti consiglierei di risolvere con l’aiuto di qualcuno veramente molto bravo.

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Il piacere di guidare

Ho accompagnato i miei ragazzi a Porto Santo Stefano perché potessero imbarcarsi e raggiungere l’isola di Giannutri dove passeranno due settimane di vacanze con la madre.

In una giornata ho guidato per qualcosa come 1080 chilometri tra andata e ritorno.

Mi piace guidare, mi piace tantissimo guidare.

Io sono una persona dalla guida tranquilla e mai molto veloce. Mi piace prendermi il tempo di potermi guardare intorno mentre guido, meglio se avvolto dalla musica che amo.

Il fatto di sedere in macchina per lungo tempo mi conduce naturalmente in uno stato molto positivo in cui riesco a pensare, spesso in maniera più profonda che non in altre situazioni.

E’ strano. Non ne sento la fatica anche se mi concedo frequentissime soste. Ho sempre ritenuto che le stazioni di servizio fossero dei non luoghi estremamente interessanti dal punto di vista etnografico. La possibilità di incontrare storie interessanti è estremamente elevata così come è elevatissima la possibilità di osservazione situazioni del tutto particolari.

Mi piace guidare di notte perché il buio sembra isolarmi ancora di più dal contesto ed il mio pensiero diviene ancora più efficace.

E quando guidi stai sempre andando verso qualcosa o tornando verso qualcosa. C’è sempre una sensazione di aspettativa in entrambi i casi. Anche semplicemente immaginare il ritorno a casa e ritrovarsi tra le proprie cose e le proprie abitudini.

E poi c’è la guida in sé. Questo nonostante tutti gli ostacoli che si devono superare per renderla piacevole. Il comportamento, talora sconsiderato, di altri guidatori. L’insieme di quelle persone che considerano la corsia più a destra come la corsia dell’infamia. Quelli che guidano telefonando e fumando allo stesso tempo. Emuli moderni della dea Kali che sembra abbiamo sei braccia.

Nonostante questo guidare è piacevole. Mi piace il silenzio dell’abitacolo ed il leggero rumore del motore e dello scorrere delle ruote sulla strada.

Anche quando fai lo stesso percorso tante volte c’è sempre qualche particolare nuovo che salta agli occhi. Spesso è solo una luce diversa che rende piacevole uno scenario che magari hai sempre considerato insignificante.

Sì, mi piace guidare.

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Risultati interessanti

In questi mesi di continua scrittura giornaliera su questo blog ho fatto diversi esperimenti sociali, se così si può dire.

Prima di cominciare a fare questi esperimenti ho dato una occhiata alle statistiche del sito. Mi interessava capire quale era il giorno della settimana e l’ora nella quale avevo il maggior numero di visualizzazioni ed il maggior numero di interazioni con le persone.

Salta fuori che il giorno migliore è il mercoledì.

Decido quindi di postare una cosa che avevo in mente da tempo e che certamente è strong opinionated da un lato e, probabilmente, molto fastidiosa per diverse persone. Si tratta del mio post sul Decreto Legge Zan.

Bene, dopo quel posto e trascorse le classiche 24 ore dopo le quali il post naturalmente scompare dalla visibilità dei social networks vado a controllare le statistiche.

Il risultato non è stato una sorpresa. Il post raramente è stato letto per intero, mai condiviso e ha ricevuto una ed una sola interazione.

Purtroppo non ne sono sorpreso.

Sopratutto su LinkedIn tutti evidentemente cercano di stare sulla sponda sicura del fiume. Interagire con un posto dal contenuto complesso e che richiede un preciso schieramento è difficile. Come ho già scritto, LinkedIn è per il business e perché mai dovrei mettere a repentaglio il mio business per manifestare sostegno ad una cosa che può essere mal vista da potenziali partners?

Ho fatto la stessa cosa in passato ed il risultato è sempre stato lo stesso. Quando si parla di cose come quella la reazione è sempre la stessa. Io evito di schierarmi perché non si sa mai.

Personalmente non ho alcun problema a schierarmi per quello che io ritengo essere giusto, business o non business. Se per quello che scrivo perdo qualche opportunità di business probabilmente si tratta di una opportunità che comunque non andrebbe bene per me.

E’ necessario schierarsi e prendere posizione. Sempre!

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Ma perché vi rode?

Continuo a leggere polemiche riguardo la visita di Chiara Ferragni agli Uffizi.

Quindi le cose stanno così: Chiara Ferragni fa il suo onesto lavoro e fa uno shooting agli Uffizi per Vogue Honk Kong. Giustamente lei posta immagini dell’evento sui suoi social networks a favore dei suoi 20 milioni di followers e si scatena l’inferno.

Molti dei follower degli account social degli Uffizi minacciano di smettere di seguire l’account.

Allo stesso tempo gli attacchi a Chiara Ferragni si spostano sul fatto di essere giovane, donna e di successo. Mala tempora currunt. Quindi non solo vi rode che Chiara Ferragni sia andata agli Uffizi ma anche che, in quanto donna, si possa attaccarla anche su quel fronte per sminuire la sua figura.

Davvero, ma cosa avete di sbagliato?

Non più tardi di domenica mi è capitato di leggere questo:

Le rare volte in cui ci si imbatte in un libro che si fa leggere si prova una strana sensazione, un misto di imbarazzo e di senso di colpa. Il secolo breve infatti ci ha abituato ad apprezzare solo i romanzi che sembrano lunghi e possibilmente ostici. La parola più giusta sarebbe un’altra, noiosi, ma chi la pronuncia rischia subito l’accusa di superficialità. D’altronde chi pretende di leggere divertendosi è evidentemente un ignorante, qualcuno che non sa cosa deve essere la cultura, una meticolosa elencazione degli orrori.

Giuseppe Scaraffia – domenica de Il Sole 24 Ore – 26 Luglio 2020

Ecco, sta tutto in quella frase in grassetto.

La cultura deve essere per pochi eletti e, in un certo qual modo, deve essere sofferenza?

Questo approccio è un male assoluto. Relegare la cultura ad un ambiente per pochi è un errore marchiano per l’evoluzione di un paese. Questa presunta élite culturale che critica Chiara Ferragni è quanto di peggio ci si possa aspettare da coloro che la cultura dovrebbero promuoverla.

La cultura è, e deve essere, per tutti. E se servono interventi come quello di Chiara Ferragni per promuoverla ben venga. Quanti di quei 20 milioni di followers sarebbero mai entrati agli Uffizi se Chiara Ferragni non avesse postato quelle foto. Se anche solo uno di quei venti milioni di persone entrerà in un altro museo dopo gli Uffizi sarà stato un successo.

La cultura non è sofferenza. E’ una gioia assoluta che deve essere diffusa in ogni modo possibile.

La cultura è davvero l’unica salvezza possibile non solo per questo paese, ma per il mondo intero.

Se vi occupate di cultura e avete criticato Chiara Ferragni vi consiglierei di scendere da quel piedistallo ed avvicinarvi al mondo reale perché quella è la realtà delle cose. Certamente buffo il fatto che poi, nelle vostre stanzette e circoli, vi lamentiate dello stato della cultura nel paese. In qualche modo siete voi stessi a volere soffrire della situazione, pur non facendo nulla per cambiarla se non lamentarsi continuamente.

Oggi più che mai è necessario evitare di pensare a compartimenti stagni.

Ben vengano le persone come Chiara Ferragni!

P.S. Per chi fosse interessato il libro di cui si parla nella citazione è questo: Lo specchio delle nostre miserie. Pierre Lemaitre – Traduzione di Elena Cappellini – Mondadori. Io lo ho letto e ne vale davvero la pena!

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